Pop, rock, indie-folk, soul, jazz, classica: i nuovi album, le ristampe, gli eventi musicali significativi
GLI APPUNTAMENTI
Mercoledì 31. All’Assago Live Forum, ore 21, il vecchio leone Rod Stewart, classe 1945. Voce storica del rock inglese, da tempo arreso a un pop-rock più ruffiano, capace però ancora di zampate. Programma senza sorprese con quarant’anni di onorata carriera: un bel ripasso, una specie di Fausto Leali in salsa global. Come si fa a non volergli bene?
Sabato 3. Alla Palazzina Liberty, ore 18, La Risonanza 2018. Iason Marmaras, voce, e Paul Beier, liuto rinascimentale, eseguono musica del primo ‘500 italiano.
Lunedì 5. All’Alcatraz, ore 21. Iron & Wine, dal nome di un integratore alimentare (“Beef, iron & wine”) è il nome d’arte che si è scelto il cantautore americano Sam Beam, classe 1974. Quieto indie-folk che profuma di Sud, di vite laterali, di impalpabile malinconia.
POP & ROCK
Amadou & Mariam – Bofou safou/ Fari mandila
Zaire 74 – Salongo/ Wandugo Wampenzi/ Nzoto
Orchestre Les Mangelepa – Kanemo/ Maindusa/ Ma lilly
Un tempo la musica dall’Africa arrivava a scrosci, a secchiate, a fiumi. Ora quei fiumi sono quasi in secca, qualcosa filtra fino a noi ma è un rivolo. Arriva dal Mali, via Parigi, il duo Amadou & Mariam: marito e moglie, non vedenti, attivi dagli anni ’70 dello scorso secolo, i due vennero lanciati in grande spolvero da Manu Chao nel 2003 con Dimanche a Bamako. Ora, con La confusion (***1/2), fanno onesto crossover ballabile, senza guizzi particolari. Arriva dal passato, ed è un gran bel sentire, il triplo Zaire 74-The african artists (****), vecchie registrazioni recuperate di recente della Woodstock africana che fece da contorno alla disfida mondiale sul ring di Kinshasa, borsa da 10 milioni di dollari, fra Muhammad Ali e George Foreman. Finora erano circolate soltanto le esibizioni degli ospiti americani al raduno, B. B.King, James Brown e Bill Withers, mentre ora è il momento giusto per riscoprire il funky tropicale di Tabu Ley Rochereau, la rumba congolese di Franco & Tpok Jazz, la carismatica Miriam Makeba e molti altri. È composta infine da congolesi espatriati in Kenya l’eccitante Orchestre Les Mangelepa. In Last band standing (****) intreccia chitarre e fiati con sapienza e swing, producendo puro piacere fisico.
Neil Young – Already great/ Almost always/ Carnival/ Forever
Il grande Neil Young è il classico artista da “prendere o lasciare”. Dischi eccellenti, pietre miliari si alternano, nella sua discografia, a lavori frettolosi, buttati via e dati alle stampe quando era il caso di riflettere e rifinire. È il caso anche del discontinuo The visitor (***), che alterna pezzi eccellenti a canzoni francamente brutte. A me piace l’altrimenti non irresistibile brano di apertura, Already great, soprattutto per la dura risposta al Donald Trump di “make America great again” e per il refrain scandito come uno slogan da manifestazione: “You’re the promised land/ You’re the helping hand/ No wall, no hate/ No fascist Usa”, ma sono fazioso. Belle le acustiche Almost always e Forever, eccentrica ma non spiacevole la messicaneggiante Carnival, sul resto si può sorvolare.
Bobo Rondelli – Soli/ Lo Storto/ Dolce imbroglio/ Su questo fiume/ L’Andrea rampante
Livornese doc, frontman negli anni ’90 degli Ottavo Padiglione, attore (per Roberta Torre e per l’amico Paolo Virzì), interprete eccellente del concittadino Piero Ciampi e cantautore, Bobo Rondelli fa centro con Anime storte (***1/2), prodotto da Andrea Appino degli Zen Circus. Piccole folate electro-rock per ravvivare una scrittura di impianto classico, densa di inquietudini sentimentali ed esistenziali, di ritratti memorabili di loser (Lo Storto), con una sorprendente e riuscita cover: By this river di Brian Eno che qui diventa Su questo fiume.
Cosmo – Turbo/ Sei la mia città/ Tutto bene/ Tristan Zarra/ La notte farà il resto
Marco Jacopo Bianchi da Ivrea in arte Cosmo, 36 anni, fino a poco tempo fa professore di storia in un istituto superiore, è l’artista più innovativo della giovane scena italiana. È esploso nel 2016 con L’ultima festa, conferma il suo talento con il doppio Cosmotronic (****), primo disco cantato e secondo soltanto strumentale, salutare picconata alla forma-canzone e ai languorini neopop. L’assunto è semplice quanto arduo: fare convivere dance e club culture, via le chitarre, soltanto synth e cassa dritta, con testi non banali, con frammenti e abbozzi di storie e di riflessioni. Cosmo ci riesce in pieno, e la sua aspirazione a essere un artista pop e dance che vuole liberare la dance dalla sua eredità tamarra è di quelle che vanno guardate con curiosità e ammirazione.
MUSICHE RITROVATE
Jackie Shane – Any other way/In my tenement/ Money/ Walking the dog
Non conoscevo Jackie Shane: l’ho scoperta grazie a un articolo del New York Times tradotto in Italia da Internazionale. Stellina del soul, desaparecida da quasi mezzo secolo (si era ritirata dalle scene nel 1971), piccola leggenda per i cultori e i collezionisti, Jackie Shane è stata rintracciata da un discografico ostinato, Douglas Mcgowan, deciso a riunire in un album i suoi singoli che andarono in classifica soprattutto nel Canada, durante gli anni ’60. Era tornata a Nashville, dove era nata nel 1940, per viverci da reclusa, a 77 anni, uscendo di casa una volta al mese e facendosi portare a casa cibi pronti perché «tesoro, non so cucinare, potrei bruciare anche l’acqua». Intervistata dal New York Times, ha raccontato di avere vissuto una doppia esclusione: come nera, in un sud che i neri non li amava, e come transgender («Ero una donna intrappolata nel corpo di un uomo»). Ora potrebbe tornare a esibirsi perché il pop di oggi non le piace e «questa gente ha bisogno di una lezione». In attesa che ciò avvenga, possiamo riassaporare il suo fascino grezzo da nipotina tutto sommato abbastanza controllata di Little Richard.
JAZZ
Fred Hersch – Whisper not/ Zingaro/ Plainsong/ You don’t know what love is/ Wild is the wind/ Variations on a theme by Ciaikovskij
Autentico poeta della tastiera, Fred Hersch è tra i miei pianisti jazz prediletti. Lascio la parola a Carlo Boccadoro, che me lo ha fatto scoprire: «Hersch disegna paesaggi incantati mediante un uso raffinatissimo del peso sulla tastiera cui corrisponde un altrettanto accorto uso del pedale, dando vita a mille registri diversi di colore, ognuno dei quali ricco di sfumature». Poeta e uomo vissuto due volte – nel 2008 le conseguenze dell’Aids lo hanno tenuto in coma per mesi, portandolo assai vicino alla morte – Hersch si è ripreso pienamente e continua ad essere prolifico ed eclettico: in duo, come solista, in quartetto e in quintetto. Tra i dischi del 2017 appena trascorso, testimonia la perlacea nobiltà della sua ispirazione il solistico Open book (****1/2), la sua raffinata arte dell’accompagnamento l’album Beautiful love (****) registrato con la cantante Jay Clayton, le sue incursioni nella classica l’affascinante A house of many rooms (****), che vede la sua “new concert music” incisa dalla pianista giapponese Eunbi Kim.
CLASSICA
L’Arpeggiata esegue Handel
L’album di classica più elettrizzante degli ultimi mesi? Facile, per me è Handel goes wild (*****) dell’ensemble L’Arpeggiata. Fondata nel 2000 dalla tiorbista e arpista austriaca Christina Pluhar, L’Arpeggiata esegue il repertorio barocco privilegiando la variazione improvvisatoria e incrociando le strade del jazz. Avevano già fatto faville, Pluhar e i suoi musicisti, sottoponendo a questo trattamento Henry Purcell (l’album era lo strepitoso Music for a while), ora se possibile fanno anche meglio con Georg Friedrich Handel. Ascoltate il meraviglioso clarinetto di Gianluigi Trovesi intromettersi nelle sinfonie, le percussioni “world” travolgere gli archi, la tiorba di Pluhar duettare con il pianoforte in Lascia ch’io pianga, l’improvvisazione su un’aria di Klapsberger galoppare spingendosi fino alla musica vocale dell’India. Musica spregiudicata ma solida e sopraffina, io me ne sono innamorato.
Anne-Sophie Mutter esegue Schubert
Anna Tifu esegue Enescu e Ravel
«Il violino è vivo, è il mio amante sensuale. Un prolungamento del corpo. Per questo, da sempre, suono indossando vestiti senza maniche e con le spalle nude: mi piace sentirlo sulla pelle. Mi è sempre piaciuta l’idea di creare il suono io stessa, con le mani. Posso modellarlo con un’arcata, come uno scultore». Così parlò la sublime Anne-Sophie Mutter, stella del violino con 35 anni di carriera e 10 milioni di dischi venduti. Ora, assieme a una stella recente del pianismo internazionale, Daniil Trifonov, e a tre giovani musicisti della sua Fondazione, fa brillare il delizioso Forellenquintett di Franz Schubert (*****). Il vertice del disco è però la stranota Ave Maria, che grazie alla maestria della Mutter, alla sua espressività, lascia sopraffatti ad acoltare, come se la si sentisse per la prima volta. Altra maestria e altre frequentazioni musicali per la giovane cagliaritana di ascendenze rumene Anna Tifu, che in Tzigane (****), alle prese con Franck, Enescu e Ravel, dà prova di un virtuosismo venato di inquietudine.