Che cosa passa questa settimana al convento delle sette note? All’Alcatraz arrivano gli imperdibili Calexico, al teatro Fontana gli imprendibili (nel senso della loro musica non facilmente catalogabile) Artchipel Orchestra. Di sicuro interesse Francesca Michielin al Fabrique. Evento “colto” della settimana l’Evangelion di Mario Castelnuovo-Tedesco, tra i grandi compositori del 900, alla chiesa di San Marco. Disco caldo: Carpe diem di Paolo Fresu
Rock di frontiera alla fine del mondo
Se vi fidate, il concerto pop & rock della settimana è quello dei Calexico, stasera 14 marzo all’ Alcatraz, ore 21. Band di culto dell’alt country americano (che per loro vuol dire sapienti miscele di tex-mex, psichedelia, morriconismi, lievi bozzetti sonori), i Calexico di Joe Burns e John Convertino, partiti nel 1996 da Tucson Arizona, hanno allo spalle ventidue anni di carriera senza un cedimento e otto album senza una nota sbagliata. Il concerto di stasera presenta il nono album fresco di stampa (The thread that keeps us, ****, uscito alla fine di gennaio) che alle spezie consuete e all’attrezzeria sonora che conosciamo (fiati mariachi, tentazioni gypsy e in senso lato latin) aggiunge folate di noise rock e un’elettronica da giocattolo. E soprattutto, testi e storie non banali e indignati, nell’età degli estremi e degli estremismi dove le guerre fredde si arroventano e la fine del mondo è un’ipotesi che aggiunge ansia all’indignazione.
L’elettrizzante Artchipel Orchestra
Jonathan Coe, scrittore inglese fra i miei preferiti, li ha presentati così: «Ho sempre pensato che l’aspetto più radicale e interessante di quella musica fosse l’inosservanza delle linee di demarcazione: era sperimentale eppure melodiosa; ti catturava il cervello ma anche il corpo; era complessa ma anche affabile e accessibile (…); qualche volta pareva musica classica suonata da un gruppo pop; qualche altra, jazz suonato da un complesso da camera. I musicisti che la facevano erano geniali compositori e improvvisatori, musicisti di prim’ordine, pieni di talento eppure (…) assolutamente modesti e alla mano». Loro sono l’Artchipel Orchestra del batterista, compositore e direttore d’orchestra Ferdinando Faraò. Trionfatori abituali nei poll annuali di una rivista prestigiosa come Musica Jazz (hanno vinto nel 2012 e nel 2017, si sono piazzati al secondo posto nel 2014), eseguono musiche di Mike Westbrook, Lindsay Cooper, Hugh Hopper, Django Bates, Gustav Holst e Yoko Kanno venerdì 16 marzo al Teatro Fontana, ore 21.15. Installazioni di Fabio Volpi.
Mario Castelnuovo-Tedesco, un Cristo inedito a San Marco
Tra Firenze e Beverly Hills, 1895-1968, sta incastonata la vicenda di Mario Castelnuovo-Tedesco, compositore e interprete fra i massimi del nostro ‘900, apprezzato da Arturo Toscanini e Jascha Heifetz, autore di pagine per chitarra classica assai eseguite (duraturo il sodalizio con Andrés Segovia). Ebreo fiorentino emigrato a New York nel 1939 in seguito alle leggi razziali, presto naturalizzato americano, insegnante al conservatorio di Los Angeles (fra gli allievi Henry Mancini, quello di Moon river, e André Previn), autore prolifico per Hollywood (undici colonne sonore accreditate, oltre duecento se si contano gli uncredited) e musicista alluvionale e di fluente melodismo. Ovvio che passasse di moda con le avanguardie del secondo dopoguerra, altrettanto ovvio che venisse riscoperto. Il suo inedito Evangèlion del 1947, 28 pagine pianistiche per voce recitante, da qualche anno viene proposto dal pianista Alessandro Marangoni che lo ha ritrovato, con l’ausilio di Claudia Koll, avantieri musa di Tinto Brass e da tempo convertita a più evangeliche esternazioni. Venerdì 16 marzo alla Chiesa di San Marco, ore 20.30.
Francesca Michielin, nomade fra mainstream e indie
Qualche anno fa, quando ancora seguivo X-Factor con mia figlia, l’adolescente Francesca Michielin da Bassano del Grappa, così bluesy e aliena tra quei pulcini cresciuti a mollichelle pop, era tra le mie preferite. La ritrovo, 23 anni e tanto talento, con l’album 2640 (***1/2), al crocevia fra mainstream pop e cantautorato indie, fra insicurezze (Scusa se non ho gli occhi azzurri) e nomadismo (2640 è l’altitudine di Bogotà, cantata in Bolivia). Canzoni dirette ed emozionali, scritte da lei con la collaborazione di un pugno di valorosi come Dario Faini, Calcutta, Tommaso Paradiso e Cosmo. Produzione deluxe di Michele Canova. Il nuovo lavoro viene riproposto in concerto sabato 17 marzo al Fabrique, ore 21.
Sergej & Lusine Khachatryan, dall’Armenia con trasporto
È armeno di Erevan, 33 anni, il violinista Sergej Khachatryan. Trasferito bambino in Germania con la famiglia, esordio precoce (a nove anni, a Wiesbaden), ha fatto incetta di premi e inciso assieme alla sorella pianista Lusine un album affascinante e di immediata contagiosità, My Armenia (***1/2). Ne offriamo qualche frammento (citazione obbligata la plateale ma sempre affascinante Danza delle spade di Aram Khacaturian) assieme a un Brahms che civetta con il folclore ungherese. Tutt’altro programma, per i due fratelli, lunedì 19 marzo al Conservatorio, ore 20.30, con pagine di Mozart, Prokofiev e Franck.
Paolo Fresu sa cogliere l’attimo
Sono partigiano e seguo Paolo Fresu da una vita, ma il recentissimo Carpe diem (****), con il Devil Quartet in versione acustica, è una festa. Un melodismo e un lirismo evidenti e mai soverchianti, la tromba sordinata e il flicorno di Fresu che regalano magie, la chitarra fluente di Bebo Ferra, la ritmica rilassata e implacabile di Paolino Della Porta e Stefano Bagnoli che assecondano i voli solistici. Solarità, intimismi, sprazzi perentori. Un omaggio al grande arrangiatore e direttore d’orchestra Giulio Libano (Mina e Celentano dei tempi eroici, Luigi Tenco), una sorprendente cover del tema di Un posto al sole. Da sentire e risentire.