A dieci anni dal suo ultimo evento espositivo, Spazio Morris è tornato in scena con A NEW GOLDEN AGE OF GUANO, personale di Andrea Kvas da poco conclusasi all’interno dello Studio Giovanni de Francesco a Milano. Una mostra che non è una mostra ma piuttosto un’installazione site-specific immersiva, realizzata all’interno dello spazio espositivo nei sette giorni precedenti l’opening durante i quali il pubblico ha potuto accedere liberamente al work in progess dell’opera. A partire da una forma astratta che ricorda il profilo di un uccello, riprodotta in un migliaio di esemplari, Kvas fonde un approccio istintivo e giocoso alla pittura con l’analisi e la riconsiderazione dei codici che contraddistinguono questa disciplina, con un approccio radicale che muove a riflessioni e analisi con l’obiettivo di enfatizzare la contingenza della materialità.
Andrea mi accoglie offrendomi una birra, di cui sorbisco un sorso sollevata prima ancora di brindare. Ma non è per questo che mi è risultato convincente. Resto sola con il comunicato stampa, sulla soglia tra le due stanze gemelle che compongono questa piccola sede di Spazio Morris, laboratorio di ricerca fondato da Alessandra Pedrotti e Marta Pierobon nel 2010, per l’occasione ospitato nello studio di Giovanni de Francesco a Milano. Alle spalle, semi illuminato, lo studio ordinato e contenuto del suddetto fa spazio a date alterne all’attività espositiva.
“A dieci anni dal suo ultimo evento espositivo, Spazio Morris torna in scena con A NEW GOLDEN AGE OF GUANO, personale dell’artista Andrea Kvas, ospitata dal 6 aprile al 12 maggio all’interno dello Studio Giovanni de Francesco a Milano” cita il comunicato. Davanti a me, luce, caos ed il suo ordine, a cui mi introduce il testo consapevole ed al sapore patafisico dell’artista Valerio Nicolai. Vorrei togliere le scarpe, le superfici chiedono i piedi scalzi. Migliaia di stampe di una stessa matrice disseminano il pavimento tra bottiglie, briciole e gocce di colore rappreso, resine sintetiche, pigmenti e impasti di cellulosa, taglienti ma che chiedono solo di essere prese in mano e forse infilate in tasca. E poi candele, lettere dorate gonfie e calpestate, barattoli, calchi di piccole unità, come regoli di acrilico rosso, occhiali da sole, una ceramica di Marta Pierobon, nascosta in un secchio. Al centro un tavolo imbarcato di cartone alveolare: un tavolo da lavoro in uso nei sette giorni precedenti l’opening, in cui lo spazio è rimasto aperto al pubblico e visitabile in un’azione in divenire che si fa quadro o installazione, come quelle due grandi tavole dai bordi difformi appoggiate alle pareti dell’angolo destro. Insomma una superficie autoportante, versatile e funzionale. L’umiltà del mezzo e la sua fondamentale semplicità liberano il supporto da pretese d’ogni tipo pur mantenendo ed anzi articolando una complessa riflessione su struttura ed informe.
La grande dimensione fa si che la pittura proceda a porzioni, lavorando ogni volta in una diversa posizione del tavolo, frammenti, legati dal lavoro nel lavoro in un’organicità non meditata.
Una serie delle stampe incorniciate ed allineate conduce alla matrice, di cui sono modulazioni. Il quadro madre, l’ultimo in cui Kvas ha usato resine naturali, risale a qualche tempo fa. L’occhio nero, quasi vetrato, di quella che pare la sagoma bianca di un uccello, è un intervento più recente. Si riconosce qui la sua attenzione alla pareidolia, e quella possibilità coraggiosa dell’informe all’apertura ad un intervento ed ad una modifica. Uno stato adrenalinico comprensibile solo nella pratica.
Una grossa palla ginnica fucsia attira l’occhio in un angolo, caccole acriliche evocano sensazioni e desideri del vinavil secco sulle dita. È uno spazio di percezioni fisiche, di gioco, dove il corpo fatica ed esita a trovare posto, costretto all’attenzione, alla partecipazione sottintesa dell’inciampo, alla propriocezione. Liberato ed oberato, da qui la necessità si stare scalzi, per sondarne lo spazio con le dita e trovare un proprio posto, orientarsi nella prassi.
Nell’informe si riconosce la solidità della struttura di Kvas, che riesce a permettersi di essere sperimentale, in una mostra generosa estranea a calcoli e produzioni da mal di pancia, per quanto di guano si parli. L’intenzione, l’atto pratico, la modulazione, a confermare il loop e sovvertirlo in ogni frame per l’eversività di una differenza, di un’intervento singolare. Lo strumento è il linguaggio, l’intenzione, l’innesco di un prurito alle mani, una sperimentazione gioiosa, divertente e critica. Pensavo fosse scena, iscritta nella furbizia del mercato. Qui invece non esistono simulazioni nell’incontro: il caos bulimico pretende attenzione mentre ci si cammina in mezzo e convive dell’inciampo, dell’intervento imprevisto. Tutto è supporto, mezzo, e soggetto. Nè allestimenti, nè scenografie, simulacri o codifiche di un informe che si avvicina più a Burri che a Krauss e Bois. Una pittura di verità, un’intenzione acuta e consapevole quanto è necessario per decostruire un linguaggio, giocando quasi, o meglio, scaricando il pennello. Andrea cita i Palette Paintings di Josh Smith, piccoli lavori usati come tavolozza, e va oltre. Caricare il pennello per scaricarlo, senza cercare forme, in quella che si può dire una roulette: dare una nuova mano su una precedente particolarmente riuscita senza conoscere l’esito. E rivive Polke tra livelli sovrapposti, stampa e materia schizofrenica.
Andrea inizia a lavorare a Milano in concomitanza alla nascita di numerosi spazi espositivi progettuali, riconoscendo una tendenza a confezionare prodotti esteticamente funzionanti piuttosto che l’ambizione e la responsabilità di una sperimentazione e di un’intenzione. Risulta convincente quanto generoso tentare la responsabilità dell’informe, le questioni che questo pone in merito alla struttura, in antitesi con le condizioni della produzione estetica di tendenza. Una mostra alle soglie del quale il visitatore si sente di chiedere il permesso di entrare, perplesso e un poco spaventato, trovandosi a fare i conti con la propria stessa libertà d’azione.
Andrea Kvas. A NEW GOLDEN AGE OF GUANO, Spazio Morris, Milano