“A White White Day – Segreti nella nebbia” dell’islandese Hlynur Pálmason, con l’ottimo Ingvar Sigurdsson, entrambi premiati ai festival, da Cannes e Torino, è un dramma psicologico. In cui un uomo rimasto vedovo per un incidente d’auto rivede in negativo tutta la sua vita e ripudia la realtà, gli amici e una natura ostile: ma finisce per scoprire un possibile futuro accanto alla piccola nipote
Con 370mila abitanti, poco meno di Bologna, e una decina scarsa di film prodotti ogni anno, anche la minuscola Islanda si affaccia sul proscenio del cinema internazionale, dopo i trionfi di Bjork e della nazionale di calcio. Vincitore nel 2019 del Torino Film Festival, è uscito ora in Italia A White White Day – Segreti nella nebbia, opera seconda di Hlynur Pálmason, il cui protagonista, Ingvar Sigurdsson, attore icona del cinema dell’isola del nord Europa, per il quale il ruolo è stato pensato e scritto, aveva vinto lo stesso anno il Rising Star Award al Festival di Cannes. Tra le non molte apparizioni filmiche da quel passe ricordiamo nel 2004 Noi albinoi di Dagur Kári Pétursson (2004) ma soprattutto l’assai più recente (2018) La donna elettrica di Benedikt Erlingsson ritratto di un’insospettabile maestra di un coro di Reykjavik (la interpretava Halldóra Geirharðsdóttir), in realtà un’ecoterrorista che vediamo sin dalla prima inquadratura del film scagliare frecce contro i piloni dell’alta tensione.
Anche stavolta siamo immersi in una patologia psichica, ma senza alcuna motivazione ideologica. Piuttosto è un terribile trauma personale, la morte della moglie amatissima in un misterioso incidente stradale determinato dalla nebbia (da cui il titolo) a spingere Ingimundur, capo della polizia in congedo, a dedicarsi a un’ossessiva, paranoica ricerca della verità che finisce in realtà in una serie di opinabili vendette personali. Tutto nasce dal ritrovamento di una scatola con alcuni effetti personali della donna, da cui si evince un tradimento della consorte. E quello che subito si impossessa del protagonista è un vero rifiuto della realtà: individuato il “rivale”, uomo peraltro piuttosto civile contro cui rovescia tutta la sua rabbia, passa poi a coinvolgere poco alla volta anche i colleghi e la famiglia, in testa la figlia, madre senza compagno e senza ordine esistenziale. Si salva solamente l’amatissima nipote la piccola Ída Meckkín Hlynsdóttir, autrice di una grande e matura prova d’interprete, con la quale l’uomo inizierà, per mare e per terra, una sorta di fuga, nei limiti del possibile quasi spensierata, verso il nulla. Perché, dice Ingimundur nel film, “le persone che ami e adori spesso sperimentano i tuoi lati peggiori e il confine tra amare qualcuno e odiare qualcuno è molto sottile“.
Sostenuto dalla splendida, brumosa fotografia di Maria Von Hausswolff, A White White Day – Segreti nella nebbia, storia d’amore e odio allo stesso tempo (sono parole dell’autore), è una sorta di dramma on the road che esplora l’improvviso vuoto di una vita, una metafora che diventa poi concreta rappresentazione dei paesaggi, umani e naturali, di una terra in cui non c’è riparo alla solitudine e all’angoscia, al ripensamento negativo sul proprio passato, e in cui la nebbia nasconde anche la verità dei rapporti, familiari e sociali. Confondendo i suoi abitanti, come Ingimundur che finisce per smarrire il senso della realtà e quasi la ragione. Scritto e diretto da Palmason (dopo Winter Brothers, 2017, ambientato però in Danimarca) il film gioca di sottrazione sposando il tema dell’indagine (sul passato della moglie), lo scavo nello sviluppo deviato di una psicologia, l’introspezione dei meccanismi dell’elaborazione del lutto, qui portati all’estremo. E lo fa con inquadrature fisse, lunghi piano sequenza, pochi dialoghi.
Riuscendo a coinvolgere il pubblico con il tacito legame alchimia che si viene a creare tra nonno e nipotina: quando Salka suona alla pianola Schumann dopo averne ricordato la vita disgraziata, c’è un momento di commozione, e così quando i due si fermano ad ascoltare il rumore del fiume che corre verso il mare. Anche grazie alla musica, che ha un ruolo importante nel suo racconto, Palmason ci fa entrare nel mood depressivo del suo protagonista per regalarci poi a sorpresa un filo di speranza, legata a memorie che fin lì sono state solo fonte di dolore. Dopo l’urlo liberatorio, quasi munchiano che accomuna nonno e nipotina, esplode la catartica scena finale accompagnata dalle note di Memories di Leonard Cohen. Gli spettri (ibseniani?) del passato svaniscono nell’accettazione dei limiti dell’umano e di una natura indifferente, ostile. E nel fare i conti con il suo lutto, il protagonista sceglie di abbandonare una certa tendenza al controllo sulla figura femminile che gli confonde i riferimenti di moglie, figlia, nipote. L’unico controllo possibile si rivela quello sulla memoria: dimenticando la rabbia e il dubbio, ci si può abbandonare a una spiazzante bellezza.
A White White Day- Segreti nella nebbia, di Hlynur Palmason, con Ingvar Eggert Sigurosson, Ida Mekkin Hlynsdottir, Hilmir Snaer Guonason, Bjorn Ingi Hilmarsson, Elma Stefania Agustsdottir, Sara Dögg Ásgeirsdóttir, Haraldur Stefansson