Donna, single, madre, povera nell’Inghilterra dei tories: il memoir di Cash Carraway ‘La porca miseria’ racconta con ironia acuminata il capitalismo vorace ed escludente di questi anni ed è una sorta di ben assestato pugno in faccia a chi legge
Hai colpito nel segno, cara Cash Carraway. Cominciato a leggere senza nulla sapere di te, attirata dal sottotitolo “Memoir di una madre single nei quartieri poveri di Londra” il cui squallore ho un po’ attraversato in questi anni di frequentazioni inglesi, il tuo La porca miseria, caso editoriale in patria, a distanza di settimane, ritorna nei pensieri con le sensazioni del primo momento: una sorta di pugno in faccia al contempo vero, disturbante, eccessivo, sfacciato si sarebbe detto un tempo. E soprattutto, consapevole di esserlo.
Nulla mi/ci hai risparmiato e non poche volte, leggendolo, ti ho mandato a dire con un po’ di insofferenza: ma ci vuole proprio tutta questa merda, tutto questo sangue, tutto questo sperma, tutta questa muffa, tutti questi materassi lerci e via dicendo per farci comprendere come i governi conservatori abbiano condannato te e altre come te allo slalom della povertà tra lavori sottopagati e affitti impossibili di tuguri, per confezionare un manifesto che ha la tua voce, una voce di donna che viene dalla working class e rivendica la propria autenticità non educata? Domanda retorica? Forse non del tutto e ci torneremo.
Partiamo però dall’inizio: ragazza che – siamo nel 2010 – decide di diventare madre single, prima scena in una schifosa toilette di uno schifoso treno che la conduce verso Londra e verso un rifugio per donne vittime di violenza, via da un uomo violento – violenta è stata peraltro la sua vita sin dall’infanzia, botte materne, padre evanescente e fuori di casa a 16 anni – che vuole farla abortire con qualunque mezzo, occhio nero incluso. Lei non ci sta e quella scelta e quella figlia saranno la luce degli anni a venire: perché se c’è una cosa sulla quale Carraway non deroga è il rivendicare di essere una buona, energica, allegra madre. Insieme alla scrittura, cui dedica ogni giorno le albe di giorni complicati.
Gli anni che passano e che Carraway racconta sono la girandola di chi tenta di tenere fuori la testa dall’acqua e tante volte ci va sotto: lavori e lavoretti con contratti a zero ore, il triste mercato del sesso e i suoi squallidi clienti ma anche l’amico gay cui serve una moglie di copertura, i soldi che non bastano mai, le banche che strozzano e si mangia solo pasta per settimane, traslochi continui, stanze, rifugi – si prova anche a lottare con le altre perché il soffitto casca in testa – ostelli, periferie sempre peggio messe e anche un qualche posto fuori dalla Londra nella quale si vuole restare, nonostante gli affitti, la gentrificazione, la pianificata espulsione dalla città dei benestanti di quelle e quelli come lei. È il capitalismo di questi anni, bellezza, è la città che vogliamo: d’altra parte la povertà ci serve ma puzza, ha un accento che non si può sentire, mastica cicche, ha dei brutti vestiti e un sacco di pretese. La povertà è ‘colpevole’, insomma: ‘noi’ però l’aiutiamo signora, basta che se ne vada lontano da qui, sottinteso un qualche posto da qualche parte in Inghilterra dove non hai radici, relazioni e neanche la possibilità di muoverti, la patente costa troppo, la macchina è un miraggio.
Chi ha visto Maid, la bella serie di Netflix che racconta una vicenda simile ma ambientata negli Stati Uniti, sappia che qui, ne La porca miseria, siamo lontani per tono narrativo, atmosfere, direi persino psicologie. Cash Carraway sta volutamente altrove, non commuove (oppure sì, ma in un modo tutto suo), allontana ogni possibile empatia a causa di quel troppo di cui si diceva. E parla ad alta voce e disturba con un’ironia acuminata e diretta anche contro di noi, i benpensanti, i beneducati, i compiaciuti: anche con la cruda realtà dei dati – una madre single su tre vive in miseria in Inghilterra – e immaginiamo che la serie Rain Dogs, di cui ha firmato per BBC One e HBOo la sceneggiatura e cominciata il 6 marzo, conservi la stessa temperatura.
Resta un dubbio, cara Cash Carraway, che si proverà ad esprimere qui: sei consapevole, ne scrivi, che il capitalismo e le sue industrie tutto elaborano, digeriscono, risputano come merce per palati ghiotti di emozioni a buon mercato: povertyporn, pornografia della povertà. E il dubbio è che proprio nulla risparmiando, tutto raccontando, tutto mettendo a nudo inclusa la contraddizione di voler essere comunque accettata dai ‘piani più alti’ modificando per questo il tuo accento, tu abbia lasciato un campo troppo largo proprio a quella voracità, facendola dilagare nella nostra ricezione, e a scapito della nettezza, vorrei dire politica, della tua voce. Mi è sembrato di trovare una sorta di risposta a questo quesito nell’intervista che hai rilasciato a Laura Pezzino per l’Espresso, evidenziando un aspetto profondamente connesso non solo alla classe, ma anche al genere : “Non sono stata trattata come una scrittrice ma come una che ha venduto la propria storia ad un tabloid. Ho scoperto che scrivere è davvero lo sport più pericoloso per una donna della working class e per questo ho deciso che non pubblicherò più nulla di autobiografico. Un libro di memorie ti intrappola nel tempo”.
Spero però di sbagliarmi, spero che il mio dubbio sia figlio del privilegio di cui sono portatrice – il posto da cui parlo, me lo ha insegnato il femminismo – e/o del desiderio di non essere presa a pugni in faccia. E soprattutto spero che tu decida di frequentare ancora quello sport pericoloso che si chiama letteratura.
In apertura e nel testo: Londra 2017, foto di Giacomo Porro.