Nuovi efficaci attori (Olivier Bonnaud, Adele Haènel) per l’ultimo film, quasi “di genere”, dei due premiati registi-sceneggiatori belgi. Jenny, dottoressa sensibile sconvolta dai sensi di colpa, indaga sul probabile assassinio di una ragazza di colore senza identità, che per salvarsi aveva cercato vanamente di rifugiarsi nel suo ambulatorio. Ma lo stile autoriale resta forte: piani-sequenza con pochi personaggi, quotidianità in primo piano, dialoghi prevalenti, nessuna colonna sonora
“Questa è una storia semplice, eppure non è facile da raccontare”. Iniziava così uno dei più grandi film di Roberto Benigni, e tali parole si addicono molto anche a La ragazza senza nome, il nuovo film di Jean-Pierre e Luc Dardenne, presentato a Cannes 2016; una storia che, come La vita è bella, può sembrare banale, ma in realtà ha molto da dire.
Jenny Davin (Adele Haènel) è una giovane dottoressa la cui carriera sembra andare sempre meglio: ha molti pazienti, e a breve riceverà un’importante promozione. Una sera, tuttavia, qualcuno citofona al suo studio oltre l’orario delle visite, e lei dice bruscamente all’incerto stagista Julien (Olivier Bonnaud) di non rispondere, forse convinta che non sia una cosa importante. Purtroppo, il giorno dopo la polizia informa la dottoressa che la persona che aveva citofonato, una ragazza di colore, nella notte è stata ritrovata morta e senza documenti, probabilmente uccisa. Da quel momento, tormentata dai sensi di colpa per quella “negligenza”, Jenny inizierà una lunga ricerca per scoprire chi era quella ragazza e poterne rintracciare la famiglia, qualcuno che le voleva bene, disposto a darle una degna sepoltura.
Ma in realtà lei non vuole tanto sostituirsi alla polizia e scoprire i colpevoli, anche se le sue indagini finiranno per infastidire il commissario incaricato: la sua resta in qualche modo soprattutto una “missione umanitaria”, di risarcimento. Anche perché il tema centrale del racconto è l’identità: la ragazza morta, di cui a lungo non conosciamo neanche il nome, è una presenza fissa lungo gran parte del film, quasi come se il suo spirito tormentasse Jenny per non esser dimenticata. Se non venisse riconosciuta, resterebbe solo una ragazza senza nome.
Chi ha visto il precedente film dei Dardenne, Due giorni, una notte, sarà tentato di trovare analogie tra il personaggio di Jenny e quello interpretato da Marion Cotillard: lungo i rispettivi percorsi, entrambe le protagoniste si devono infatti confrontare con una società dove sia i ricchi che i poveri provano poca empatia per il prossimo. Tuttavia, mentre quello di Sandra era un problema che veniva dall’esterno – il suo capo la voleva licenziare – per Jenny si tratta di un malessere interno: nonostante nessuno la rimproveri per non aver aperto la porta quella sera, lei si sente ugualmente colpevole, come se fosse stata lei a uccidere la ragazza. Dirà a un certo punto: “Non è morta. Se lo fosse, non l’avremmo sempre in testa”. Per questo fino a quando non riuscirà a scoprire il nome della ragazza, non sarà più nemmeno in grado di fare il suo lavoro come prima: il suo scopo non è più curare i vivi, ma salvare il ricordo di una morta.
Una novità che questo film introduce nel cinema dardenniano sta nell’essere quasi un film di genere: dramma sociale che arriva a trattare anche tematiche attuali come l’immigrazione, La ragazza senza nome finisce per sconfinare nel thriller, e in un thriller in cui la cosa più importante, almeno dal punto di vista di Jenny, non è scoprire il nome dell’assassino quanto quello della vittima. A lei non importa chi l’abbia uccisa fisicamente, perché è convinta di averla uccisa lei stessa, nel momento in cui ha deciso di non farla entrare nel suo ambulatorio. Solo alla fine, dopo che la ricerca si è conclusa, Jenny si autorizza a ricominciare a fare il suo lavoro, libera dai rimpianti.
Sia a livello di regia che di sceneggiatura, il film mantiene il tipico stile dei Dardenne: nessuna colonna sonora, nemmeno nei titoli di coda; lunghi piani sequenza che non inquadrano quasi mai più di tre personaggi insieme; dialoghi tanto semplici quanto realistici, che lasciano poco spazio a battute o frasi ironiche. Adèle Haenel, presente quasi in ogni singola scena, riesce a interpretare al meglio gli stati d’animo più disparati: dalla felicità per la promozione all’angoscia per ciò che ha fatto, dalla paura quando affronta uomini violenti all’ansia di chi ha un peso sulla coscienza. Altra figura emergente è Olivier Bonnaud, giovane stagista che alla prima situazione di emergenza comincia a vacillare, anche a causa di traumi personali. Accanto a questi due interpreti, alla prima prova in un film dei cineasti belgi, troviamo due loro attori-feticcio, davvero storici, Jérémie Renier e l’italo-belga Fabrizio Rongione, stavolta impegnati in ruoli meno importanti rispetto al passato.
La ragazza senza nome, di Jean-Pierre e Luc Dardenne, con Olivier Bonnaud, Adele Haènel, Jérémie Renier, Fabrizio Rongione, Nadège Ouedraogo