Abbiamo fatto due chiacchiere con i La Ragazzina dai Capelli Rossi per parlare del loro album “Todestrieb”
I La Ragazzina dai Capelli Rossi prendono questo bizzarro nome da Heather, colei di cui è follemente innamorato Charlie Brown nei Peanuts. Heather non si vede mai, né con Charlie Brown né con altri personaggi all’interno del fumetto, tanto da diventare il simbolo di qualcosa voluto nel profondo, ma che in realtà rimane vago e irraggiungibile. Il gruppo quindi, già tramite il nome, ci svela una parte dei propri intenti artistici e inizia con il primo dei continui riferimenti alle immagini legate all’infanzia.
La Ragazzina dai Capelli Rossi dopo l’EP d’esordio Dormire Soli in cui già accennava in brani come Anzi per scherzo l’argomento principale della sua filosofia (“Ridere strano e piangere all’improvviso”), ha sfornato per Diavoletto Netlabel il primo album dal titolo Todestrieb, che significa, secondo la teoria freudiana, “pulsioni di morte”.
Nelle nove tracce che si susseguono troviamo storie raccontate tramite uno scorrere di immagini che, più che a descrivere, mirano a raccontare stati d’animo e lo strano mondo di oggi con le sue contraddizioni tramite metafore. I gabbiani che precipitano come pioggia rossa sulle giovani e belle ragazze borghesi, i gatti arancioni che miagolano spersi e i Gargoyles di Notre Dame che assorbono i dolori sono solo alcuni esempi di queste metafore e allegorie che troviamo nei testi, sempre ricercati e con un elevato stile visionario. Menzione particolare invece va alla figura del bambino, visto da Marco Monaco, frontman e autore dei testi, come un essere puro e privo di influenze, quindi in grado di reagire ancora in maniera indipendente e naturale ai fatti che succedono intorno a lui. Cosa sia andata a cercare si apre con le risate di un neonato, di un piccolo bambino, ed è tutto un susseguirsi di immagini forti e di morte, paragonate all’età infantile, età in cui “ancora era bello desiderare”.
Questa alternanza di dolcezza e tristezza, di durezza e amore non la troviamo solo nei testi, ma anche nelle sonorità. Per quanto i La Ragazzina dai Capelli Rossi possano definirsi un gruppo elettronico, troviamo nella loro musica tantissime influenze pop caratterizzate soprattutto dalla presenza leggera delle tastiere che vanno ad alleviare quelle continue pulsioni improvvise e violente, caratteristica principale della band.
Todestrieb si chiude con La neve guarirà, canzone che parla della possibilità del mutare, dell’assenza di sicurezza, dei mille “forse” che comandano l’esistenza dell’uomo e pare una sorta di collegamento tra l’album e l’unico singolo, sfornato successivamente, che parla di “pulsioni di vita”, dal titolo Lebenstrieb.
A questo punto la domanda sorge però naturale: qual è la visione che La Ragazzina ha del mondo? Abbiamo approfittato della disponibilità di Marco Monaco, il leader della band, per farcelo chiarire e per farci togliere qualche altra piccola curiosità.
Citate spesso il colore rosso nelle canzoni; ed è anche parte integrante del nome del gruppo. Cosa rappresenta questo colore nell’immaginario dei vostri primi lavori?
Il colore rosso non ha un vero e proprio significato simbolico o concettuale, o almeno non lo aveva nelle mie intenzioni coscienti. Nel momento in cui ho ascoltato le canzoni che avevano scritto Andrea, Alessandro e Fabio, ho pensato ad uno sfondo che doveva accompagnare tutto il disco, e questo sfondo, suggeritomi dai suoni, dai ritmi e dalle melodie mi sembrava dovesse essere una sorta di lungo tramonto; e dunque in ogni canzone ho inserito qualche gradazione di rosso, che aveva la funzione di colorare il brano. Ho immaginato che così gli ascoltatori avrebbero depositato inconsciamente tutte le storie delle canzoni in un autunno perenne, e questo mi divertiva. Todestrieb è un album prettamente autunnale, e l’autunno è in qualche modo la stagione della morte.
Da dove nasce l’amore per Vivian Lamarque fino al punto di dedicarle la canzone musicalmente più dura ed aspra dell’album?Oltre al fatto che reputo Vivian Lamarque una delle più importanti poetesse italiane ancora viventi, la scelta di dedicarle un brano è legata all’idea che è di base a La Ragazzina dai Capelli Rossi. Abbiamo lavorato ad un progetto che si nutre di grandi contraddizioni, a partire dal nome semplice del gruppo, il quale si scontra con sonorità aspre e cattive e con testi che nell’intenzione vogliono essere riflessioni sulla celebre pulsione di morte teorizzata da Freud. Vivian Lamarque sia nella sua opera che forse nella sua vita, (rispetto alla sua vita non posso dirlo con certezza ma nutro dei forti sospetti al riguardo), si occupa di cantare l’ingenuità dell’infanzia, l’ingenuità dell’amore, e la violenta complessità sia di questa stagione della vita che di questo sentimento. La Ragazzina è come Vivian Lamarque: una bambina che teneramente si diverte a giocare con il male, la morte e l’amore. Anche a proposito del fatto che sia la canzone musicalmente più dura dell’album ci sono stati molti pareri contrastanti tra noi. Ad esempio, inizialmente, Alessandro la odiava perché continuava a sostenere che gli ricordava la sigla di X-Factor, non so poi come sia riuscito a farsene una ragione.
Nella commovente Cos’è il male parlate di un tema delicatissimo come quello del suicidio in maniera contraddittoria tanto da non riuscire a distinguere realmente cosa sia il male, chi lo compia e chi lo riceva. Sono solo discorsi filosofici o è la vita?
Il tema della difficoltà di discernere il bene dal male, e della contraddittorietà della vita, come ti dicevo, è di base a tutto l’album. Cos’è il male è però una riflessione sulla società contemporanea, costruita intorno alla storia di due ragazzi sconvolti da un fatto tremendo, ossia il suicidio di una persona a loro cara. Tutta la canzone si nutre di una serie di metafore e citazioni, e anche il suicidio di I., più che un significato reale, ha un valore simbolico. Rappresenta la fine e la morte di un certo modo di intendere l’arte: I. si uccide e lascia un biglietto dicendo che il suo atto è una sorta di poesia che ha “scritto” per noi. I. vuole rappresentare un tempo in cui ancora gli intellettuali e i poeti avevano un significato e un ruolo nella società. Un tempo in cui la società ancora non diveniva una macchina fredda costituita solo da rapporti virtuali, ambigui e superficiali, ma appunto quando nell’aria si potevano respirare chiari soffi di spiritualità e creatività. Non mi riferisco a molto tempo addietro, credo che questa trasformazione stia avendo un così rapido sviluppo che già tre o quattro anni fa le cose erano diverse.
Un album intero che parla di pulsioni di morte e un solo singolo che parla di pulsioni di vita: è equiparabile alla vostra visione del mondo?
Non credo sia possibile soppesare così le cose. Generalmente nell’uomo queste due pulsioni hanno più o meno pari intensità, e per quanto sia spaventoso notare in noi (un noi generico) una volontaria tendenza a fatti spiacevoli è certo che questa sia equilibrata da una spinta di segno opposto. Abbiamo inteso Lebenstrieb come una specie di sigillo, che chiude e completa il nostro discorso su Todestrieb, sia a livello musicale che concettuale, e fa anche da ponte a nostri possibili lavori futuri. È ad esempio la nostra unica canzone in cui ci sono dei passaggi vocali più melodici, più ritmati e quasi cantati, che vorremo approfondire.
Curiosità personale. In Tutto era vivo citate “La poltrona rossa di Marco Ferrara”, posso chiedervi a cosa si riferisce?
[Ride] Bellissima domanda! Era la domanda che più desideravo ci fosse posta e adesso che ciò è accaduto non saprei quasi cosa dire! Si tratta comunque di un mio oggetto regalatomi appunto da questo Marco Ferrara. Ho deciso di inserirla nella canzone perché parlando dell’eterno ritorno volevo dare un tocco molto personale al discorso, e una cosa che mi faceva piacere tornasse per sempre nella mia vita era proprio questa poltrona. È una poltrona che si usa o per la lettura di poesie o per l’ascolto di buona musica. Chissà se è proprio perché la gente non possiede “La poltrona rossa di Marco Ferrara” che non legge più poesia e non ascolta più buona musica! Bisognerebbe regalarla a tutti. Rispetto a Marco Ferrara vorrei solo dire che si tratta di un mio amico scrittore un po’ campano, un po’ tedesco e un po’ turco!