Di lui il premio Nobel Mario Vargas Llosa ha detto che nessun peruviano ha fatto così tanto per il proprio paese. Se la cucina peruviana spopola nel mondo, se in una scuola sorta in uno dei peggiori slum di Lima i ragazzi studiano per diventare chef, tutto questo è stato reso possibile dal lavoro infaticabile di Gastón Acurio. E dalla Fundación Pachacútec continuano a uscire giovani cuochi e non solo che hanno imparato a cucinare e lo hanno fatto all’insegna dell’empatia e della solidarietà
Sembra uno scherzo di cattivo gusto il manifesto elettorale da cui il faccione sorridente di un candidato di chissà quali elezioni campeggia sulla scritta “Ventanilla, el progreso continúa”. Ventanilla è il nome del distretto, tra i più estesi di Lima e tra i più poveri: intere zone sovrappopolate in cui le case sfilano senza ordine né una struttura, strade scaciate che si incrociano e si sovrappongono formando uno scenario di muri scalcinati, o rotti.
Eppure Ventanilla è quasi decoroso se lo paragoni al pueblo joven (il nome a Lima degli slum) che incontri qualche chilometro più a nord, il degradato Pachacútec che si avventura sulle alture periferiche di Lima. Se non altro a Ventanilla c’è l’acqua. A Pachacútec non solo non c’è l’acqua ma in molto tratti mancano le fogne, la luce elettrica scarseggia e lo scenario di stradine in terra su cui si affacciano casupole in lamiera e assi di legno non prepara certo alla sorpresa della Fundación Pachacútec: grande complesso di costruzioni all’avanguardia disseminate nel deserto che si allunga dietro a un’insegna colorata, e un’atmosfera che diventa vagamente magica quando superi il cancello. Decine di ragazzi in camice bianco e berrettino da cuoco si spostano da una costruzione all’altra, alcuni con grandi vassoi. Un vento leggerissimo solleva la sabbia ma smorza appena il sole a picco che contrasta con la foschia grigiastra del quartiere Miraflores da cui sono partita, a due ore di auto: il posto bene, sull’oceano. Pachacútec si trova appena a settecento metri d’altezza ma c’è tutta la differenza del mondo.
La Fundación Pachacútec è nota soprattutto per la scuola di cucina che il famoso chef Gastón Acurio ha aperto nel 2007 nel quartiere più miserabile di Lima per i ragazzi che da quel posto sognavano di andarsene per diventare magari come lui: un cuoco tra i più acclamati al mondo, celebre non solo per la premiatissima cucina ma per quel lavoro che porta avanti da trent’anni per far conoscere i piatti peruviani nel pianeta e trasformare quell’eccellenza nazionale in un collante per unire i ricchi e il popolo, classi sociali che nel suo Paese sono ancora lontanissime ma accomunate nella sua visione da quel comune orgoglio nazionale: la magnifica, sontuosa cucina peruviana.
C’è riuscito Acurio? Di certo ha fatto molto per contribuire a quell’avvicinamento, e la Fundación Pachacútec è solo uno delle molte iniziative che hanno permesso ai piatti peruviani di uscire dai confini nazionali e prima ancora andini e popolari. “Non c’è peruviano che abbia fatto per il suo Paese quello che ha fatto Gastón Acurio”, ha detto di lui il premio Nobel Mario Vargas Llosa. E però bisogna cominciare dall’inizio per spiegare come uno chef, da solo, sia riuscito a seminare tanto e a fare in modo che in centinaia raccogliessero, partendo dai suoi esordi nelle scuole d’élite di Madrid e Parigi e continuando con l’applicazione di quegli studi al suo rientro in Perù con la giovane moglie tedesca Astrid Gutsche con cui aprì nel 1994 il suo primo ristorante a Lima: cucina francese che andava per la maggiore salvo capire in fretta che non era quello a interessargli ma la gastronomia locale che a quel tempo era blindata nelle case povere e nelle zone rurali, e dire che vantava piatti meravigliosi a una gigantesca varietà di prodotti.
Ora, Acurio a fare il cuoco pensava da bambino, anche se non è chiaro come un ragazzino di famiglia illustre, figlio di un ministro ed erede di una robusta dinastia politica, avesse maturato quell’idea balzana in un contesto in cui il cuoco era un mestiere così poco luminoso che lui non ebbe l’animo di opporre resistenza quando i genitori lo mandarono a studiare diritto a Madrid. Non si ribellò, dunque, ma anziché iscriversi all’università prestigiosa a cui era destinato si immatricolò a Le Cordon Bleu .
Una volta laureato, tornò in Perù con Astrid e un obiettivo: promuovere e valorizzare la cucina popolare peruviana che, benché eccellente, era considerata una paria della gastronomia. E utilizzarla per appianare le ferocissime distinzioni di classe e ‘razza’ del suo Paese. Dopo quel fugace esordio con la cucina francese, virò insomma verso la valorizzazione della cucina peruviana e diventò in breve uno dei cuochi più famosi del Perù, poi del mondo. A quel punto è cominciata l’opera di catechizzazione. Non solo ha fondato catene di ristoranti di cucina tipica per tutte le tasche anche in Europa e Usa, ma ha inventato festival, promosso seminari ovunque, creato vincoli e sinergie con gli chef più blasonati. Ha scritto libri di cui uno autobiografico, Cocinando historias, è stato pubblicato a luglio scorso. E insomma ha dato il via al boom della cucina peruviana. Adesso gli chef di quel Paese che conquistano stelle e premi sono decine. Non ce n’è uno che non ti spieghi come quel successo aiuti il Perù a superare il razzismo e classismo locali, il vizio di fondo di quella società. Per esempio quella scuola nel deserto, dall’estetica magica, in cui studiano ragazzi dello slum che Acurio strappa alla delinquenza e alla povertà e che, forti del titolo guadagnato dopo due anni di studio e pratica, diventano chef in prestigiosi ristoranti in tutto il mondo.
Non solo i ragazzi vorrebbero diventare Acurio per la sua fama, il suo successo e la sua strepitosa abilità nei piatti, ma anche per guadagnare denaro a sufficienza per aiutare quelli come loro: di scarsi mezzi ma tenaci, e motivati fino al sacrificio a uscire da quel ghetto di miseria e di degrado in cui vivono. Nove su dieci trovano lavoro, e che lavoro: per esempio nel celebre El Celler de Can Roca, tre stelle Michelin, come nel caso di Jhosmary Cáceres, uno dei tre ragazzi di cui il documentario “Pachacútec, la escuela improbable” del regista Mariano Carranza, presentato nell’agosto 2023 al festival del cinema di San Sebastián, ha raccontato la storia.
Non che sia facile accedere alla scuola. Le selezioni sono molto dure: su trecento che si presentano alla prima prova solo 25 saranno ammessi ai corsi. Il primo test è di cultura generale e quelli che lo superano saranno sottoposti ad altri due colloqui ma non è detto che una volta entrati vada tutto liscio. Per raggiungere la scuola gli studenti devono sobbarcarsi spesso mezz’ora di strada, perché Pachacútec è lontanissimo da tutto, e in quel complesso non arrivi in autobus. Per i ritardi ci sono sanzioni, le regole sono severissime. Eppure, quando parli con ex alunni come Jhon (lo scrivono proprio così) e Miguel Angel, di 25 e 29 anni, fanno spallucce alla domanda se sia stato un sacrificio. “Ni para tanto”, Niente di che, sorridono. Miguel Angel è aiuto chef nel ristorante di Teresa Izquierdo, uno dei più rinomati di Lima, che però lascerà presto per andare a lavorare in un famoso ristorante in Quebec. Aggiungono che quella scuola ha insegnato loro anche “valori spirituali”: l’empatia, la solidarietà. Se i due vengono da famiglie povere, ma normali, come mi spiegano, la maggior parte degli alunni ha storie da rabbrividire: genitori spesso in carcere e famiglie disfunzionali, abusi e violenza. In molti casi arrivano da vere e proprie gang. Ed è per questo che la scuola ha in staff uno psicologo, ed è pensata come un luogo caldo, una famiglia vera come ci spiega Karina Montes, cinquantenne direttrice della facoltà di cucina che, approdata alla scuola dieci anni fa con l’idea di restarci per qualche mese, non se ne è più andata benché per arrivare dal quartiere lontanissimo in cui abita debba svegliarsi ogni mattina alle quattro. “Ma questa è la mia casa”, ci dice. “E poi come si fa ad andare via da questo posto magico?”. Piccole costruzioni in mattoncini sbucano dal deserto, nelle cucine gli studenti si affaccendano intorno a vassoi di molluschi e pesce, e curano con attenzione le causas e i ceviches, alcuni piatti tipici.
Andando avanti nell’esplorazione di quel luogo, ci imbattiamo in un salone da parrucchiere, e in quelli che somigliano a uffici o aule. Perché la scuola di cucina è solo una parte, benché la più importante e scenografica. Le altre sono una facoltà di amministrazione di impresa di tre anni e un’altra di elettricità industriale, infine corsi brevi per imparare a fare i parrucchieri e occuparsi del servizio bar. Tutte hanno prezzi popolari, va da sé. Merito della aziende che hanno accettato di finanziare i corsi. La scuola di cucina costa per esempio appena 140 soles al mese contro i mille delle scuole normali: tutte private, e molte nate per assecondare una passione che in qualche caso è diventata moda. Quella di Pachacútec non è nata dalla moda ma da un’idea, da una visione. E infatti è una delle più quotate del Paese. Acurio con le sue mille attività non lascia niente al caso, né corre in cerca di prestigio e fama, o un tornaconto. È una instancabile macchina da guerra che in quell’incessante moto ondivago trascina, per fortuna, tanti.
Foto di Gabriella Saba.