L’opera, che il compositore inglese Thomas Adès ha tratto da Shakespeare, nella messa in scena di Robert Lepage al Piermarini si è trasformata in una celebrazione di Milano e del teatro “di Milano” nel mondo
“Milano la bella, Milano l’ingegnosa, Milano la preziosa, Milano l’industriosa, Milano la biblioteca mia, Milano la libertà mia. A Napoli volgare e sfrontata fu venduta”. Calma, non c’è un nordista, un separatista, un sovranista, un razzista dietro questo inno furioso, solo l’onorevole (“honorable”) William Shakespeare, mosso dalle migliori intenzioni. Chi lancia quelle parole di fuoco è Prospero, Duca di Milano, che scatena con le sue arti magiche le onde del mare, facendo naufragare sull’isola in cui è relegato la nave dei suoi nemici, e racconta alla figlia Miranda la storia del suo rancore.
É l’inizio de La tempesta, l’ultima opera scritta da Shakespeare, non proprio tragedia, non proprio commedia, molto fantasia; chiamatela anche Fantasy, ma con prudenza. E sono anche le prime parole che si scambiano Prospero e Miranda nell’opera in musica che finalmente ha portato alla Scala un lavoro di oggi e non del passato: The Tempest, scritto nel 2003 dall’inglese Thomas Adès su libretto di Meredith Oakes, in diciannove anni trasformatosi in uno dei titoli di teatro musicale più eseguiti al mondo. E una buona ragione ci sarà pure.
The Tempest di Adès vale il viaggio perché nello spettacolo inventato da un regista dal talento inquieto come Robert Lepage, l’opera tratta da Shakespeare si è trasformata in una celebrazione di Milano e del teatro “di Milano” nel mondo, ovvero la Scala.
L’isola in cui Prospero ha trovato rifugio dopo essere stato detronizzato con l’inganno dal fratello, consegnato con la figlia ancora piccola a una morte certa sul mare, nello spettacolo di Lepage è la Scala stessa: una riproduzione fedele della sala del Piermarini, fotografata e ingigantita, si trasforma in scenografia e ambientazione di tutte le magie possibili. Il teatro simbolo di tutti i teatri del mondo, come in fondo era il Globe di Shakespeare, nella Scala raddoppiata, anzi triplicata, lo viviamo come lo spazio ideale in cui Prospero, mago che può tutto, realizza i suoi sortilegi. E questo, al di là dell’efficacia del gesto scenico e registico, è un omaggio che riempie di orgoglio e fa pensare, perché Lepage, canadese, semplicemente leggendo le parole infuocate di Prospero, ha avuto l’idea di uno spettacolo “scaligero” in anticipo sul meraviglioso Don Giovanni di Robert Carsen, e lo ha spedito sui palcoscenici del Metropolitan di New York, della Staatsoper di Vienna e dell’Opera del Québec, coproduttori dello spettacolo.
In The Tempest, Milano è una citazione elevata al quadrato, così come la musica composta da Thomas Adès per la sua seconda opera dopo Powder her Face (1995) e prima di The Exterminating Angel (2016) è una “citazione” al quadrato di tutte le musiche che la storia ha messo a disposizione di un compositore di oggi. Citazione creativa, personale, ricca di esperienza e di talento, libera nella lingua e nello stile, ma tecnicamente disciplinata, comunque disposta con scorrevolissima fluidità al servizio dei personaggi, della drammaturgia, dei cambi di clima.
Adès scatena in orchestra una forza stravinskianamente materica nelle scene di tempesta, sfuma lirismo nel duetto Miranda-Ferdinando che poi si avviano mano nella mano verso il mare (toccante), gioca a creare friabilità rumoristica e sospensione del tempo nelle magie del terzo atto, si abbandona alla melanconia nell’ultima scena del perdono, in cui Prospero, meglio il Prospero di Adès non quello di Shakespeare, celebra il rito della misericordia sui nemici.
Nelle voci ritroviamo un composto baritono (Leigh Melrose) nel Prospero tatuato come il Queequeg del Moby Dick di John Huston, un sognante mezzosoprano (Isabel Leonard) in Miranda, un tenore un poco isterico (Frédéric Antoun, ottimo attore) in Calibano cattivo selvaggio, un tenore tenero amante (Josh Lovell) in Federico e – invenzione più squillante di tutte – un soprano arrampicata su acuti siderali (Andrey Luna, notevole assai) nello spiritello Ariel, servo fedele ma non troppo di Prospero.
Qualcuno potrebbe trovare un po’ cinematografici i ginnastici “indigeni” che attraversano le scene e il mostro alato che domina il rinfresco dei naufraghi, ma in fondo, come dice Trinculo: nell’isola di Prospero ci sono “draghi attorcigliati e calderoni fumanti”. Può succedere che un regista se ne innamori.
The Tempest di Adès porta alla Scala la vitalità di una musica ispirata al pragmatismo e alla prontezza di riflessi in cui è specializzata la cultura teatrale inglese – leggi Benjamin Britten, ma non solo – e nella rilettura dell’originale di Shakespeare innesta qualcosa che piace molto come antidoto al mondo incarognito di oggi.
Isabel Leonard (Miranda), Leigh Melrose (Prospero)
La riconciliazione finale di Prospero con i suoi nemici “napoletani” si compie chiaramente, nell’opera di Adès, grazie a Miranda, la figlia di Prospero che, messa sul barchino a due anni per morire anche lei, dopo i dodici passati sull’isola salvatrice, nemmeno si ricorda perché si trovi in quel posto sperduto, abitato da nativi selvaggi, anzi un nativo selvaggio, Calibano, che la concupisce. Dopo aver assistito sgomenta allo sconquasso di quelli che considera solo innocenti sconosciuti, tra i quali il ragazzo di cui si innamorerà, al padre che le racconta le loro sventure, Miranda non può che porre certe domande: “Milano? Che cos’è Milano?”, “Non avevamo nessun amico?”, “Che storia spaventosa”, “Sono così addolorata che voglio piangere”, “Ciò che mi hai narrato non mi dice nulla”, “Perché hai adunato tutto questo dolore?”. Miranda è pura e disposta a perdonare. L’amore che le nasce per Ferdinando, umano che non immaginava potesse essere così bello (“Sei uno spirito, un’ombra, una creatura fatta da mio padre?”), la distacca irrimediabilmente dal padre. É il suo amore candido che sconfigge Prospero in cerca di vendetta, che lo sconfigge, lo costringe a chiederle perdono per non averla capita, come un padre colpevole, che cancella in lui l’odio coltivato per anni e consegna lei al fortunato futuro di regina di Napoli, per un lieto fine che non ha niente di edulcorato, molto invece di pensieroso.
Nel seme di Shakespeare e nella fioritura di questa ennesima The Tempest risuona un messaggio che i ragazzi possono capire e condividere, per sperare in qualcosa mentre si aggirano tra le rovine della storia, della politica, della cultura e del clima disseminate attorno a noi e a loro.
The Tempest alla Scala: per respirare aria fresca, se non nuova, nella musica e portarsi dentro uno sguardo consolatore ma non dolcificato.
Foto Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala