Quarto film del regista di Singapore Yeo Siew Hua, “Stranger Eyes”, in concorso all’ultima Mostra di Venezia, è un film sull’assenza. Quella di una bimba che subito sparisce, lasciando nella disperazione i giovani genitori, che si vedono poi recapitare misteriosi dvd con scene della loro vita. Partito come un thriller, il film diventa così una riflessione sul controllo sociale, sul rapporto tra individuo e società. E più in generale sul difficile confine tra verità e menzogna, luce e ombra, vedere e non vedere
È un film costruito sull’assenza, Stranger Eyes di Yeo Siew Hua, al suo quarto lungometraggio dopo l’interessante A Land Imagined, Pardo d’oro al festival di Locarno nel 2018. La piccola Bo è sparita da un parco giochi di Singapore e ogni tentativo di ritrovarla sembra destinato al fallimento. I suoi genitori, Junyang e Peiying, sono una coppia giovanissima e sembrano completamente annichiliti, solo la nonna mantiene un po’ di freddezza mentre tenta di contribuire attivamente alle ricerche. Tutti vivono in una sorta di limbo che si protrae per giorni e giorni, finché cominciano ad arrivare a casa dei misteriosi dvd contenenti delle riprese video. Qualcuno (non si sa chi) li recapita sulla porta di casa, qualcuno sta sorvegliando e filmando tutti i componenti della famiglia. E la cosa è iniziata ben prima della scomparsa della bambina. Perché? Di chi è il misterioso sguardo che tutto osserva e giudica? Quali segreti potranno mai celarsi dietro le banali azioni quotidiane di una famiglia come tante, che sembra non avere nulla da nascondere se non la monotonia di una vita modesta, priva di slanci particolari o grandi ambizioni?
Il punto focale di questo film del singaporiano Yeo Siew Hua, conviene dirlo subito, non è la scoperta dei segreti dei protagonisti, che pure finiremo col venire in gran parte a sapere, prima dell’ultima inquadratura, ma l’esplorazione di una serie di temi che certo hanno a che fare con la verità e la menzogna, ma soprattutto con la messa a fuoco del labile confine tra luce e ombra, vedere e non vedere. È sulle motivazioni profonde dell’atto stesso di guardare (ed essere guardati) – con tutte le sue infinite, contorte e a volte indecifrabili sfumature di senso – che si concentra l’attenzione dell’autore.
Come aveva fatto Michael Haneke quasi vent’anni fa in Niente da nascondere, il regista gioca prima di tutto con le aspettative di noi spettatori, affastellando immagini di per sé banali ma dotate di un’intima qualità inquietante, capace di destabilizzarci, mettendo in crisi le nostre certezze. Haneke sceglieva allora la strada maestra della paranoia e del sospetto, trascinandoci in un labirinto perverso e sempre più angosciante, Yeo Siew Hua sembra invece prediligere l’idea di mostrarci semplicemente una società che trova nella sorveglianza reciproca un modo di stabilire relazioni, non necessariamente positive ma neanche inevitabilmente negative. La costruzione della suspense diventa così un modo ingegnoso e beffardo di trascinarci dentro il racconto, e il film si rivela una meditazione sul controllo sociale e il rapporto tra individuo e collettività, attraverso un puzzle di immagini, personaggi e situazioni dominati da un’atmosfera malata, sospesa, in fondo quieta ma non per questo meno minacciosa.
Non un film facile, Stranger Eyes, in concorso all’ultima Mostra di Venezia, ma un’opera solida, girata con grande padronanza di mezzi e la rara capacità di interpellarci senza nemmeno guardarci negli occhi (ma impedendoci fino alla fine di distogliere lo sguardo). Merito anche della notevole interpretazione di Lee Kang-sheng (nei panni dell’impiegato del supermercato), grande attore taiwanese e presenza fissa nel cinema di Tsai Ming-liang, qui in un ruolo potente e rivelatore, al centro di una girandola di immagini che diventa un girotondo di anime perdute alla ricerca di qualcosa (o qualcuno) che consenta finalmente di decifrare il senso della propria esistenza.
Stranger Eys – Sguardi nascosti, di Yeo Siew Hua, con Chien-Ho Wu, Lee Kang-sheng, Anicca Panna, Vera Chen, Teo Pete