“Civil War” di Alex Garland è un film durissimo dal primo all’ultimo fermo immagine, un pugno nello stomaco del pubblico americano, un bagno di realtà troppo brutto per non esser almeno un po’ vero. Una Kirsten Dunst estremamente convincente, fotoreporter di guerra dal volto e dall’animo induriti, conduce questo racconto di uno scontro armato in cui la cosa più spiazzante è che sceneggiatore e regista sembrano non prendere posizione. Non c’è una parte giusta da cui stare. E la massima giornalistica che prevale è; non facciamoci domande, documentiamo, così che altri possano farsele
Nel 1997 la HBO produceva per il proprio canale via cavo il lungometraggio La Seconda Guerra Civile Americana, feroce satira della situazione politico-territoriale a stelle e strisce, ma anche raffigurazione impietosa di un mondo dei mass media sempre più cinico e spettacolarizzato. A dirigerla, nientemeno che Joe Dante, già regista del cult horror demenziale Gremlins, ed esperto in black comedy più o meno fantastiche ma con chiari risvolti politici. Oggi, a ventisette anni di distanza e alla vigilia di una delle sfide elettorali più surreali di sempre, tra un tycoon con velleità dittatoriali e un commander in chief sospettato di demenza senile, gli americani tornano sull’argomento, e questa volta lo prendono terribilmente sul serio.
Ecco perché il nuovo Civil War di Alex Garland è un film durissimo dal primo all’ultimo fermo immagine, un vero pugno allo stomaco per ogni cittadino statunitense, e un bagno di realtà distopica troppo brutta per non essere almeno un po’ vera. Ma la cosa che forse spiazza di più, per la nostra abituale concezione cinematografica di qualsiasi scontro armato, è che nel raccontarlo il regista e sceneggiatore londinese sembri non prendere alcuna posizione: non si capisce chi abbia attaccato per primo, né chi siano i buoni o i cattivi (se davvero in una guerra ce ne sono mai). E non c’è una parte giusta da cui stare, se non il lato della barricata più o meno al riparo dai proiettili, per osservare e testimoniare, testimoniare tutto.
Il film di Garland, infatti, è soprattutto un omaggio al giornalismo d’assalto, fatto di dedizione alla causa dell’informazione a qualunque costo, perché “una volta che inizi a farti domande non smetti più, quindi non ce le facciamo: documentiamo, così che altri possano farsele”. Sono tante le citazioni a effetto che in Civil War scandiscono con la delicatezza di una granata una scena dopo l’altro, accompagnando i protagonisti in un viaggio on the road sempre più distopico e inquietante, tra scosse di adrenalina, momenti di sano terrore ed esibizioni sempre meno sincere di cinismo professionale.
Tappe di un viaggio emotivo che il cast della pellicola interpreta come meglio non potrebbe, prima fra tutte una Kirsten Dunst finalmente libera da ruoli di eterna ragazzina, anzi estremamente convincente nei panni della fotoreporter di guerra dal volto e dall’animo indurito da orrori passati e presenti. A farle da efficace contraltare, la fresca vincitrice della Coppa Volpi come miglior attrice all’ultimo Festival di Venezia Cailee Spaeny, lei sì classica teenager da telefilm, e proprio per questo destinata a essere la vera vittima sacrificale (perlomeno dal punto di vista morale) nell’inarrestabile discesa verso gli inferi del conflitto. Conflitto che lascerà più di un segno anche negli altri due componenti dell’improvvisato equipaggio, ovvero lo scanzonato Joel (Wagner Moura), alla ricerca dello scoop della vita prima che i ribelli irrompano alla Casa Bianca, e il più anziano Sammy (Stephen McKinley Henderson), cronista veterano del New York Times e mentore del gruppo.
A lasciare il segno nello spettatore, oltre alla violenza di dialoghi e passaggi di trama, sono soprattutto le immagini, curate nel dettaglio con il manierismo di scatti da Premio Pulitzer: con una mossa registica un po’ scontata ma di grande efficacia, Garland decide di immortalare i momenti più significativi in forma di vera e propria fotografia, mostrandoci il mondo dei protagonisti mentre cade a pezzi letteralmente attraverso il loro sguardo e obiettivo. Una scelta che a più riprese si rivela vincente, elevando Civil War da semplice war movie distopico a prodotto decisamente interessante anche dal punto di vista artistico.
Ma, com’è ovvio, è per le tematiche trattate che la pellicola sta tutt’ora facendo discutere oltreoceano, fin dalla sua uscita nelle sale americane, dove ha ottenuto il miglior risultato di sempre al botteghino per la casa di produzione indipendente A24. Per Variety è “la cosa più lontana possibile da un abbraccio di gruppo”, mentre il New York Times osserva che “un conto è quando un film tratta di paure da bambini, con il classico mostro sotto al letto, e vuoi vedere cosa succede perché sai già come andrà a finire; ma le paure da adulti sono tutta un’altra cosa”. Insomma, dopo decenni a raccontare, in modo più o meno avventuroso, guerre e violenza in casa d’altri, il re si scopre improvvisamente nudo ed estremamente indifeso. La speranza è che, come accade anche nelle fiabe dai risvolti più dark, si tratti di fantasia (magari a scopo educativo), e non di un autentico segnale d’allarme.
Civil War di Alex Garland, con Kirsten Dunst, Cailee Spaeny, Wagner Moura, Stephen McKinley Henderson, Jesse Plemons, Nick Offerman