La stanca scaltrezza di una vedova moderna

In Teatro

Un adattamento gradevole e rispettoso nei confronti di Goldoni, con un lavorio filologico che aspira alla semplicità del dettato e all’immediatezza comunicativa delle sue battute. Gianluca Guidi firma la regia de La vedova scaltra, al Teatro Carcano fino a domenica 22 aprile, optando per un delicato ritorno alla tradizione. Sentirsi nella laguna veneziana a Milano? Possibile

L’atmosfera che si respira nell’ammirare La vedova scaltra diretta da Gianluca Guidi appare sia concomitante che opposta a una prima del diciottesimo secolo, e non si esagera! Come è ben noto, quest’opera, messa in scena a Venezia durante il ‘Carnovale’ del 1748, può essere considerata come un vero e proprio testo di transizione tra la Commedia dell’Arte e la Commedia Nova, irrompendo nello scenario della riforma teatrale goldoniana.

Nobiluomini, artisti, mercatanti, avventurieri e spadaccini provenienti dall’Europa tutta, maschere della tradizione e infine, una vedova.

Donna Rosaura Lombardi de’ Bisognosi, interpretata con leggera profondità da Francesca Inaudi, è esattamente come ce la si aspetta: un’onda femminile che oscilla tra sana sincerità, un animo nobile e una scaltrezza fine e astuta. Una donna che ama con perspicacia e pensa con amore, di una modernità tale da illuminare con sensibile riguardo l’universo mondano del quale fa parte. La bionda Inaudi si alterna dal ruolo cogitativo a quello attivo, soddisfacendo il pubblico soprattutto per l’interpretazione dialogica e vespertina con gli spasimanti nell’ultimo atto.

Nel caotico guazzabuglio della vicenda, immersa da tonalità ‘azzurroblù’ e come sulle prime note di un rondò veneziano, la prima scena si apre per far spazio a un eroico Arlecchino in gondola, il fedele servitore impacciato che allieta e si diletta tra un lazzo e l’altro. A interpretarlo c’è il giovane e bravo Andrea Coppone, un marchingegno umano di tecnica e spirito, di azione e ironia, come il suo ruolo richiede. L’episodio dello scambio della lettera, il lazzo della mosca, una summa di capriole coraggiose e salti ardimentosi che fanno onore all’esercizio preparatorio sono tutti spunti tematici dell’Arlecchino servitore di due padroni.

Ma i padroni da servire in questa commedia si sono raddoppiati e sono tutti invaghiti della bella vedova fuggitiva. Il genio di Goldoni modella quattro caratteri ben distinti, designandoli attraverso i loro luoghi comuni di provenienza, e non è una barzelletta.

La gelosia morbosa dell’italiano, il Conte di Bosco Nero (Gianluca Guidi); un inglese- troppo-poco-inglese e voltagabbana, Milord Runebif (Matteo Guma); uno spagnolo invasato dai suoi blasonati natali, Don Alvaro di Castiglia (Fabio Ferrari); e un francese libertino che dà sfoggio all’estetismo, Monsieur Le Bleau (Riccardo Bocci).

Colpisce per simpatia e per le gag canore l’istrionismo ispanico di Fabio Ferrari e l’elegante savoir-faire del fascinoso Riccardo Bocci, entrambi in grado di proiettare i riflettori sui pregiudizi antiquati delle stirpi che rappresentano. Alessandra Cosimato, e Claudia Ferri animano con una simpatia tutta rosa gli spettegolezzi lagunari del ‘700. Spiritosi i momenti di Renato Cortesi nel ruolo del Dottor Padre e di Massimiliano Giovannetti in quello di Pantalone de’Bisognosi.

Anche lo spazio scenico disegnato da Carlo De Marino va sul sicuro e ricorda alla lontana la scenografia ‘rustega’ di Damiani; soppalchi lignei, tele ecru e un reticolo di cordami che si intreccia come la vicenda dei personaggi. Non propriamente riuscito l’artificio scenico della nebbia (un po’ troppo densa) per mezzo dei teli semitrasparenti che attraversano il palco; alle volte sarebbe meglio abusare con le macchine del fumo…

Il disegno di luci dai colori pastello curato da Stefano Lattavo armonizza tutte le scene ed entra perfettamente in sintonia con le tinte dei costumi di ciniglia e shantung di Francesca Brunori.

Una storia che va ben oltre i diamanti, i ritratti e gli alberi genealogici e che sa apprezzare la ridicola tenerezza di una lettera d’amore. Una vicenda che viene incontro ai gusti di tutti con una morale che non ha nulla di nuovo, ma che insegna ancora una volta a credere nella rarità di molte doti, tra cui la perseveranza e l’onestà. Se Rosaura potesse sussurrare un’ultima battuta al suo Conte, direbbe senz’altro: “Nessun vincitore crede al caso”.

Uno spettacolo senza grandi innovazioni, ma kantianamente piacevole.

FOTO DI PINO LE PERA

 Fino a domenica 22 aprile al Teatro Carcano.

(Visited 1 times, 1 visits today)