La drammaturgia di Pirozzi e la regia di Civica elaborano una “farsa profonda” valorizzata dal grande talento di Renato Carpentieri
C’è da chiedersi se sia la scrittura di Armando Pirozzi a permettere alla regia di Massimiliano Civica di sperimentare sempre nuovi modi di usare la parola in palcoscenico o se sia la regia di Massimiliano Civica a portare Armando Pirozzi a spingere i toni dei suoi testi su sentieri paradossali e farseschi ogni volta più seri e profondi.
Di certo sono gli attori a farsi carico di entrambi gli aspetti del lavoro scenico dei due, sodalizio premiato col prestigioso Ubu nel 2016. L’episodio più recente, l’atto unico La stoffa dei sogni, principale produzione della stagione del Teatro Metastasio di Prato, ne è la conferma e la riprova.
Tre soli personaggi sul palco, accanto a un padre e a una figlia in forte contrasto per un’antica e segreta controversia irrisolta agisce un ragazzo che vede nell’anziano un modello e un maestro, forse un genitore.
Spostamenti progressivi degli allineamenti li rivelano essere un anziano attore autoesiliatosi dalle scene, sua figlia e il suo allievo/assistente/accompagnatore; non più in un borgo isolato dove l’attore ha fatto una deviazione durante una tournée per incontrarsi con la ragazza, ma una metafisica situazione dalle valenze shakespeariane in cui i destini dei protagonisti si sovrappongono a quelli di Prospero e di Lear e i tratti di Cordelia si confondono con quelli di Miranda (non si sono forse trovate entrambe in opposizione al rispettivo padre?).
Se queste righe rivelano troppo della vicenda e tolgono la sorpresa allo spettatore, servono a sottolineare la perizia del drammaturgo nel cambiare costantemente i ritmi degli avvenimenti, calibrati tra dialoghi di contrasto e monologhi di riflessione, col primo piano affidato ora all’uno ora all’altro personaggio. Per non dire dei trabocchetti del percorso, come l’identificazione tra le figure dell’anziano e del giovane che a un certo punto sembrano essere il medesimo personaggio in scena che in discussione con sé stesso dalle diverse prospettive dei due opposti momenti dell’esistenza, aspettative contro consuntivi.
Tutti trucchi, tutti espedienti per arrivare a metter in scena il senso più profondo del teatro, dell’essere a teatro e del fare teatro, come equivalenza del vivere, quando il teatro accende i riflettori sul gioco serio della finzione esistenziale, su quel palcoscenico shakespeariano in cui ciascuno è chiamato a recitare il proprio ruolo, specchio, rifugio, rivelazione della vera vita vera.
Come nelle intenzioni dichiarate dal regista la recita diventa dunque il tramite del riscatto e della resa che giustifica l’atto del bugiardo che mente, dell’attore che interpreta, dell’artista che crea, di chi non accetta la realtà come è e ne costruisce una nuova per sé e per gli altri.
Con leggerezza e umorismo il testo di Pirozzi evita la lezione del metateatro pirandelliano, pure presente in sottotraccia, ma sceglie la via del gioco a rimpiattino tra palco e platea per arrivare insieme, palco e platea, a una possibile verità dove le sfumature e le sovrapposizioni servano a delineare davvero gli sconosciuti confini, dati usualmente per noti e definiti, tra realtà e illusione, sogni e fantasia.
Il mood dell’incedere delle battute e della trama è quello che vedrebbe bene come conclusione il monito rivistaiolo augurale e consolatorio “Fe-li-ci-bum-tà!”, invece lo spettacolo si chiude con un filosofico ma forse canzonatorio “possano sempre tutti gli esseri viventi restare liberi dal dolore!”. A dar valore al significato del verbo, Civica sceglie, come suo consueto, di porre l’evento in una scenografia più che minimalista e con illuminazione fissa, affidando quasi solo alla voce degli attori il compito di comunicare senso del discorso e svolgimento dell’azione.
E in Renato Carpentieri ha trovato l’interprete ideale per il testo di Pirozzi e per la sperimentazione della voce come veicolo espressivo. Magnifico, tre volte magnifico, Carpentieri, indimenticabile la sua voce-sintesi di intenzioni psicologiche, oggettività del discorso e naturalezza dell’espressione! L’attore campano, alla svolta degli 80 anni (ma… come dice il suo personaggio “a un attore non si chiede mai l’età”), si è prestato a cambiare radicalmente il suo modulo recitativo, sia il consueto espresso in teatro, sia quello cinematografico o televisivo.
Sentirlo recitare fluentemente in un sorprendente e apparentemente facile naturalismo (così estraneo ai nostri palcoscenici!) frasi brevissime che potrebbero entrare in trattati teorici di psicologia o di filosofia provoca tra gli spettatori brividi di assoluta ammirazione e totale godimento. Valanghe di meritati appausi! Se si conoscevano e apprezzavano già le sue doti interpretative, qui lo si riscopre gemma tra le più splendenti e più fresche del nostro panorama teatrale.
Con lui non sfigurano affatto, e scusate se è poco, i due giovani compagni di scena Vincenzo Abbate e Maria Vittoria Argenti che da quest’esperienza usciranno arricchiti e gratificati.
Dopo le recite di debutto al Teatro Metastasio di Prato (fino al 29 gennaio) lo spettacolo sarà a Torino al Teatro Astra (dal 2 al 5 febbraio) e a Roma al Teatro India (dal 7 al 12 5 febbraio)