L’ottimo Eddie Redmayne contenderà a Keaton e Cumberbatch la statuetta per il miglior attore. E non è l’unico pregio importante di “La teoria del tutto” di Marsh
Give science a(nother) chance. Dopo Alan Turing e il suo Imitation Game, è la volta della rivincita sul grande schermo di un altro nerd d’eccezione, il matematico, astrofisico e cosmologo inglese Stephen Hawking. A vestirne i panni con sorprendente maestria in La teoria del tutto è il giovane Eddie Redmayne, astro nascente del cinema britannico appena 32enne, chiamato finalmente al salto nel cinema dei grandi dopo una gavetta a suon di comparsate e ruoli secondari seppure anche in film importanti (The Good Shepherd, Marylin, Les Miserables).
Britannico è decisamente lo stile del film: la regia di James Marsh, premio Oscar nel 2009 per il documentario Man On Wire (sulla vita di un altro genio decisamente sregolato, il funambolo Philippe Petit), è abile e delicata nel creare atmosfere, giocando costantemente con luci, colori e musiche, e nel dare all’intera narrazione un’impronta ben precisa: La teoria del tutto è prima di ogni altra cosa la storia di un uomo. Anzi, di più, è in qualche modo la storia dell’Uomo.
Perché mai come oggi l’industria cinematografica si trova nella curiosa condizione di volere (o dovere) ritrarre eroi perfettibili, modelli ambigui, personaggi carichi di sfumature e limiti, dunque inesorabilmente esseri umani. Ma se Hollywood prova a soffocare (non senza qualche democratico rimorso) problemi di coscienza e brutti pensieri dei suoi paladini sotto tonnellate di adrenalina, muscoli e concetti assoluti di Bene e Male, un cinema “altro” si sta facendo largo, ribattendo negli ultimi tempi colpo su colpo, seppure con alterne fortune.
Personaggi come Nash, Turing e soprattutto Hawking, sono la vittoria dell’intelletto su una fisicità vista, forse per la prima volta, come un confine alle infinite potenzialità umane. Eroi o anti-eroi che siano, il loro lascito di scoperte rivoluzionarie per le generazioni future rappresenta la più valida alternativa a una condizione concreta, a una serie di limiti insieme combattuti con forza e accettati con serenità.
La teoria del tutto affronta la malattia di Hawking, affetto da sclerosi laterale amiotrofica, con discrezione e ironia, senza pietismo o retorica, facendo dell’inevitabile decadimento fisico del protagonista quasi il gentile contrappunto allo scorrere del tempo, l’altro tema cardine del film, assecondato come un amico. Le vere limitazioni, sembra dirci, sono ben altre.
Alle prese con questi limiti, però, il racconto perde anche parte del suo aplomb inglese, divenendo quasi kitsch nel rendere omaggio obbligato alla sua fonte, il romanzo autobiografico Verso l’infinito, scritto da Jane Wilde Hawking (interpretata da una Felicity Jones mai sopra le righe), prima moglie dell’astrofisico e sua compagna durante la comparsa e il progredire della malattia. Come il libro, la pellicola dipinge nel dettaglio la difficile coesistenza tra genialità e rapporti affettivi, e la voglia, l’inevitabile ricerca di normalità di una consorte fin troppo devota al proprio ruolo.
Presentato già dal trailer come una storia più d’amore che di scienza (difatti, si tranquillizzino i profani della materia, di astrofisica ce n’è poca e molto accessibile), il film inciampa nel più classico dei triangoli amorosi lui-lei-l’altro. La comparsa nella vita della coppia dell’aitante maestro di musica Jonathan (Charlie Cox) è forse la parte meno credibile, per quanto realmente accaduta, dell’intera vicenda, tra snodi sentimentali un po’ da soap opera e filmini super 8 delle vacanze al mare.
Ma una singola sbavatura, o concessione al commerciale che sia, non pregiudica l’esito complessivo di un film semplice e ben fatto, sorretto con apprezzabile sforzo da attori giovani (con spalle d’eccezione come i “veterani” David Thewlis e Emily Watson) e diretto con personalità e cura dei particolari.
Si parlerà a lungo dell’interpretazione di Redmayne-Hawking, vincitore del Golden Globe e quindi pre-candidato all’Oscar a furor di popolo, e della “volata” per la statuetta con il Keaton di Birdman e, soprattutto, il “collega” Cumberbatch, magistrale Alan Turing nel pur modesto Imitation Game. Dai cosmologi di Cambridge alle stelle di Hollywood. I limiti? Per quelli c’è tempo.
La teoria del tutto, di James Marsh, con Eddie Redmayne, Felicity Jones, Charlie Cox