Irriverente e canzonatorio, ironico e venato di amarezza, esce il nuovo disco degli Zen Circus, che brindano provocatoriamente circondati dalle macerie, vedi la copertina, alla faccia dei luoghi comuni su conflitti e violenza
Gli Zen Circus sono tornati, sinceri e irriverenti come sempre.
Nel 2014 li avevamo lasciati alle prese con uno scenario inquietante, quello di Canzoni contro la Natura, in cui il lato ferino dell’uomo si concretizzava nella ricerca di falsi miti, nell’immaginaria ribellione di una Natura apocalittica, o nella violenta ammissione «è una legge di tutto il creato / il potere ha il male integrato» affidata alla voce dello stesso Creatore in Albero di tiglio. E se la logica stringente dell’assunto «Viva la guerra / tanto vivi si muore» non è stata già abbastanza sarcastica, Appino, Ufo e Karim Qqru tornano sull’argomento con il loro nono album La Terza Guerra Mondiale, uscito lo scorso 23 settembre per La Tempesta Dischi.
La domanda sottesa all’intero lavoro è chiara e per niente scontata: in una società che non perde occasione per esprimersi in modo violento, in cui la tecnologia ci spinge a proiettare costantemente un’immagine pubblica quasi irriconoscibile di noi stessi, contro chi finiremmo a lottare se scoppiasse davvero una Terza Guerra Mondiale?
Questa provocazione si declina nelle immagini vivide dei testi del gruppo toscano, ricchi di ironia e amarezza in ugual misura. Le parole sono affidate alla brillante penna degli Zen, ma non solo: in Ilenia, il primo singolo estratto dell’album, il testo nasce dalla corrispondenza con una giovane ragazza alla ricerca di un senso di sé e del suo tempo, e nell’ultimo singolo Zingara – il cattivista gran parte del brano è occupata dai beceri luoghi comuni che realmente escono dalle bocche di chi è infettato dal grottesco morbo del pregiudizio. Il tutto condito con un sound essenziale, che non rinuncia al distorsore ma che si ferma all’assetto chitarra, basso e batteria, salvo qualche suono di synth ben dosato.
Il disco si apre con la title track La terza guerra mondiale, in cui all’intro quasi spensierato di chitarra si contrappone un testo sempre più ambiguo: sì, è vero, c’è il sole e la città si affaccia sul mare, ma si cade in fretta nell’apice inquietante del «fuori è un caldo innaturale / riscaldamento globale / certo moriremo tutti ma / in infradito e bermuda». La voce di Appino descrive scenari apparentemente innocui ma che procedono sotto il segno di una violenza sempre più inevitabile, «una guerra mondiale ancora / per vedere che fareste ora / voi che parlate di fucili / di calci in culo ed esplosivi», con tanto di finti applausi in chiusura della traccia.
I suoni si fanno più agguerriti nella successiva Ilenia, con lo spigoloso riff di chitarra iniziale che ricalca la melodia del ritornello, e fa da sfondo alla fresca e controversa figura femminile, che ammette di non sapersi leggere ma che sembra conoscersi benissimo, che dice di non sapersi esprimere ma è eloquente, e che diventa il pretesto per raccontare tutte le contraddizioni della realtà attuale. Sono malinconici e venati di un’inevitabile solitudine i testi di Non voglio ballare, in cui i toni del canto sembrano quasi trascinati e lamentosi, e L’anima non conta, in cui tutto sembra sfuggente e mai sufficiente per sentirsi appagati. In mezzo se ne sta Pisa merda, acuta ironia sul frequente accostamento di parole, certo meno elegante del dantesco «vituperio delle genti», ma senza dubbio più diffuso (e da toscana, ve lo posso garantire!): la piccola città dà modo di scrivere sulla provincia, che «crea dipendenza / se non ci sei nato non si può capire».
Bellissimo il testo di Niente di spirituale, una sorta di canzone “in negativo”: un lungo elenco di tutto ciò che non rimane, di tutti i punti di riferimento e gli aiuti che non si hanno per vivere la vita seguendo una direzione. Dopo la melodia scanzonata, quasi al modo di filastrocca, di San Salvario e la riflessione provocatoria de Il terrorista, il disco si chiude sui dieci minuti finali di Andrà tutto bene, in cui il titolo è ossimorico rispetto al testo cupo, e termina sul lungo sussurrato mantra «state zitti, fate silenzio».
Un album senza dubbio poco consigliato a chi nella musica non cerchi uno spunto di riflessione, ma sembra che Appino e compagni se la cavino benissimo nei panni di decisi portavoce del loro pensiero, come si evince dalla copertina dell’album, in cui i tre se la brindano, con tanto di selfie canzonatorio, sullo sfondo di terribili macerie.
Zen Circus, La Terza Guerra Mondiale (La Tempesta Dischi)