L’indagine sull’eccidio di centinaia di ebrei avvenuto in un paesino dell’Austria alla fine della Seconda Guerra Mondiale porta lo storico Yoel, protagonista di “La testimonianza” dell’esordiente israeliano Amichai Greenberg, a consultare testimonianze secretate di reduci e sopravvissute. In una di queste interviste scoprirà anche una verità drammatica, decisiva per ricostruire la sua stessa origine
Yoel è uno storico di fama mondiale che tenta invano di dissotterrare la verità sull’eccidio di 247 ebrei avvenuto quasi alla fine della Seconda Guerra Mondiale a Lendsdorf, un villaggio dell’Austria più remota. I pochi reduci hanno cambiato nome o nazionalità, le testimonianze sopravvissute all’obsolescenza burocratica vengono celate dietro scuse arrabattate con svogliatezza da nuovi attori della banalità del male, tra superficialità, pigrizia etica, negazionismo.
E a peggiorare le cose, David deve combattere contro un altro Golia, non il mostro dalle cento teste di un sistema inetto e corrotto ma le mire imprenditoriali di un industriale edile che vuole costruire nelle terre in cui Yoel è convinto si trovi la fossa comune che da dieci anni va cercando. E quindi si rivolge a un tribunale perché queste interminabili ricerche si concludano, lasciando campo libero alle sue ruspe foriere di lavoro e ricchezza per tutti.
Nessuna delle fasi del viaggio dell’eroe – la chiamata all’avventura, il superamento delle soglie e il ritorno – è assente nella sceneggiatura di La testimonianza (licenziosa traduzione di The Testament), presentato nella sezione Orizzonti dell’ultimo Festival di Venezia, un thriller con la kippah che narra la vicenda di uno studioso ben più coraggioso del professorone di Harvard secondo Dan Brown, alle prese con una selva oscura da cui uscire pare impossibile.
Ma mentre Yoel scava nella terra e nei meandri degli archivi della sua università, altri scheletri nell’armadio affiorano a poco a poco dalle memorie intime della sua famiglia. Il privato non è mai stato tanto pubblico per Yoel, che ritrova nelle sue radici più intime e dirette la carta che lo porterà alla soluzione dell’arcano. Non senza passare attraverso il più doloroso dei possibili interrogativi, ovvero il dubbio sulla sua identità e discendenza personale, quindi anche culturale e confessionale.
Bella l’idea di giocare sulla metafora del dissotterramento e del venire alla luce/ (ri) dare alla vita i corpi (morti) di chi ha molto più da dire dei suoi omertosi concittadini. E interessante anche il tema delle testimonianze secretate (da cui il titolo italiano) post-Olocausto, in molti casi uniche fonti rimaste, e quasi sempre non confermabili per il decesso dei diretti interessati, di fatti che risalgono ormai a quasi 75 anni fa.
Peccato invece per una sceneggiatura che si lascia un po’ sedurre dalla sirena dello Shoah-business sul grande schermo, e che finisce anche per incagliarsi troppo nelle secche della biografia dell’esordiente regista israeliano Amichai Greenberg, di cui il protagonista pare l’immagine allo specchio. Anche per il surplus di pathos e immedesimazione che il legame auto-biografico con i fatti e il racconto comporta.
La testimonianza, di Amichai Greenberg con Ori Pfeffer, Rivka Gur, Hagit Dasberg, Shamul Atzmon, Orna Rotenberg, Emmanuel Cohn