Tempi moderni, si potrebbe dire: come si costruisce e si vende un influencer? ‘Le macchinazioni’ è un romanzo ironico e pungente sul potere di internet e dei media e sulla psicologia di massa
Chi è Oscar Babel e perché a Londra si parla tanto di lui? Oscar è proiezionista in un cinema, pittore mancato, modello di nudo. E come ha fatto, questo ragazzo in fondo qualsiasi, a diventare il Profeta di Londra? È bastato che un pubblicitario spregiudicato e pieno di soldi lo trasformasse in una sorta di guru, un influencer. Ma, prima, c’è voluto un lungo lavoro: quello di Baret Magarian, scrittore di origine angloarmena che vive a Firenze e che è anche giornalista, poeta, musicista.
Nelle quasi seicento pagine del suo libro Le macchinazioni, Edizioni Ensemble, di cui Jonathan Coe, che lo ha anche presentato a Milano e Roma, scrive “un risultato brillante”, un romanzo “estremamente originale, ambizioso e compiuto”, Magarian segue il processo di trasformazione di Babel ad opera di Ryan Rees, pubblicitario e agente di oltre duecento clienti nel mondo della televisione. E segue anche, di pari passo, la trasformazione di Daniel Bloch, amico di Oscar, da scrittore di successo che vive un momento di crisi d’ispirazione in cui decide di rendere Oscar il protagonista del suo nuovo lavoro, in un uomo che cade sempre più velocemente nell’oscurità della sua anima. E le cui parole Babel userà per la sua ascesa mediatica, in uno continuo alternarsi tra realtà e finzione.
Il bel libro di Magarian è anche molto più di questo: tanti personaggi, molta ironia, spassose descrizioni di ambienti intelletualistici, amori, fragilità delle relazioni, amicizia. Ma qui ci limiteremo alla fabbricazione – The fabrications è il titolo originale – dell’influencer che, resa lieve dall’ironia di Magarian, è un attacco al mito della celebrità, al potere di internet e dei media di trasfigurare la realtà e la verità, a un mondo dove tutto può essere inventato.
Quando Rees incontra Babel e intuisce le sue potenzialità, gli propone di trovargli uno spazio in un talk televisivo per parlare di amore fisico. “Tu devi soltanto andare là fuori e parlare. Ti potremmo chiamare il Profeta di Londra. Ti metteremo in piedi un sito web, metteremo in moto le cose, ti metteremo al centro dell’attenzione”. Babel è dubbioso, ma l’offerta di mille sterline per una semplice apparizione lo convincono ad accettare. Grazie a un giornalista compiacente, che definisce “qualcosa che ha che fare con la grandezza” le parole di Babel nella sua comparsata, “quando l’amore funziona veramente riesce perfino a fermare il tempo, e ogni cosa allora brilla e scintilla”, che un bacio perugina gli fa un baffo, parte il tam tam. Rees fa stampare migliaia di poster “Chi è Oscar Babel?” con cui tappezzare Londra, gli costruisce un sito web ad hoc dove il bel modello diventa un uomo molto riservato, laureato ad Oxford in sanscrito, che ha viaggiato in Tibet e India ed è appena rientrato da un ashram. A un Oscar irritato “per tutte quelle merdate ridicole che avete messo su internet, “la verità è noiosa”, ribatte Rees. La seconda apparizione di Babel, a un premio di pittura, esilarante per la descrizione dei personaggi, scatena non solo una rissa tra gli astanti, anche la fama immediata, che aumenta dopo la proiezione in formato gigante del suo volto sulla facciata della cattedrale di Westminster. E continuerà ad aumentare.
Il pifferaio magico imbonisce con i suoi pensieri orde di seguaci adoranti. Che sono inglesi, ma potrebbero essere americani come indiani, svizzeri come nostrani. Basta dare uno sguardo attorno e ne potremmo riconoscere molti. E non solo tra divi televisivi o attorucoli onniscienti e onnipresenti, ma anche tra intellettuali o presunti tali, artisti o presunti tali e, quel che è peggio, tra politici che sembrano proprio aver dietro, o hanno, un Rees o comunque una strategia comunicativa che sa perfettamente come gettare l’amo. E tanti, troppi, abboccano.
In apertura foto di Guillermo Latorre/Unsplash