Un ricordo di Philippe Daverio, 1949-2020
Occhiali tondi, abito sgargiante a tre pezzi, papillon. Quasi ogni appassionato d’arte, se gli si chiedesse di chi fosse tipico quest’abbigliamento, non esiterebbe a rispondere che era quello di Philippe Daverio. La mattina dello scorso 2 settembre, però, l’ilarità e il buon umore consuetamente associati all’allegra personalità di Philippe hanno lasciato spazio al cordoglio per la sua scomparsa. A quasi una settimana dalla sua morte, a seguito dei numerosi articoli già pubblicati sui periodici nazionali che ci hanno ricordato la sua biografia, è forse opportuno commemorare che cosa più mancherà di lui e della sua attività di uomo di cultura a tutto tondo.
Charles Baudelaire, di sicuro non il più conformista fra gli artisti del XIX secolo, ricordato come «ribelle in guanti rosa» da Giuseppe Montesano (non a caso anche qui ritroviamo un tono cromatico sui generis) scriveva nel 1852 in una lettera a un amico: «Come volete che si diano delle notizie biografiche? Volete forse mettere che sono nato a Parigi nel ’21, che ho fatto giovanissimo molti viaggi nei mari dell’India […]? Io non credo che si debbano mettere cose del genere». Sarebbe bello ricordare la personalità di Philippe con uno spirito di questo tipo, ossia con un atteggiamento non attento solo a un’elencazione delle attività da lui svolte all’interno del panorama culturale italiano, ma anche alla qualità e all’entità di queste occupazioni. Vorrei sottolineare appunto l’entità del ruolo di Daverio, perché sarebbe forse riduttivo nei confronti della sua smisurata passione verso il mondo dell’arte profondersi in una semplice rassegna delle attività da lui intraprese, a partire dagli anni ’70 fino ai giorni nostri. Ne ricorderemo però almeno le principali, perché il suo impegno fu onnipervasivo.
Un gallerista: tre le gallerie d’arte moderna da lui inaugurate – due a Milano, rispettivamente una nel 1975, un’altra nel 1989 e una a New York, nel 1986. Un uomo anche impegnato in politica: fu assessore con delega alla Cultura, al Tempo Libero, all’Educazione e alle Relazioni Internazionali del Comune di Milano nella giunta Formentini dal 1993 al 1997; fra i provvedimenti da lui stabiliti si ricordano in particolare, fra tanti altri, la ricostruzione del Padiglione d’Arte Contemporanea di via Palestro, distrutto dall’esplosione di una bomba nel 1993, la ristrutturazione di Palazzo Reale ed il suo ri-adattamento come contenitore di mostre d’arte nel 1994 – ruolo funzionale tutt’oggi per la struttura e che attira ogni anno migliaia di visitatori – e la ristrutturazione del teatro alla Scala. Un divulgatore di cultura: risale al 1999 il suo debutto in televisione, a partire dalla collaborazione con la Rai – dove si è impegnato come autore e conduttore di diversi programmi dedicati all’arte, il più noto dei quali è stato senza dubbio Passepartout, andato in onda fra il 2002 e il 2012 – fino alle comparse in Mediaset negli ultimi mesi di vita, con una piccola rubrica nel varietà Striscia la notizia. Daverio instaurò inoltre una saltuaria collaborazione didattica a Milano con lo IULM e il Politecnico, e con l’Università degli Studi di Palermo. A queste attività affiancò un cospicuo numero di pubblicazioni, la maggior parte delle quali edite da Rizzoli e di taglio principalmente divulgativo. Ma al di là di tutto, la caratteristica che più ha definito la personalità di Philippe Daverio e che gli ha permesso un impegno così strenuo nei suoi anni di lavoro è stata quella di essere un amante dell’arte, prima di tutto.
Daverio è stato un uomo di cultura che ha amato la cultura, e che spesso ha presentato il suo punto di vista, oltre che sull’arte, anche sulla politica, sull’evoluzione dei costumi e della società, talvolta in modo originale e talvolta in modo controverso e polemico. Di doppia cittadinanza italiana e francese, europeista dichiarato, fu favorito senza dubbio nell’adesione a questa corrente di pensiero dalla sua nascita da padre italiano e madre francese in Alsazia, regione della Francia storicamente ‘a cavallo’ con la Germania e da quest’ultima posseduta dal 1871 al 1919. Soprattutto negli ultimi anni Daverio si era dedicato all’approfondimento della storia della cultura europea, sia in una serie di conferenze tenute al teatro Carcano fra il 2017 e il 2018, sia in alcuni fra i suoi ultimi libri. A tal riguardo viene da chiedersi se, alla luce delle tante discussioni di questi decenni, la possibilità di instaurazione di un clima di concordia politica all’interno dell’Unione Europea possa, forse, essere favorita in particolare da un sentire come quello di Daverio, ossia un sentimento di transnazionalità identitaria coadiuvato dalla nascita da genitori di nazionalità diversa e dalla conoscenza approfondita diretta di più di una cultura nazionale. Ma questo rimane un tema di discussione aperto.
Insomma, lo si ripete: amore per la cultura. Daverio tuttavia dimostrò di possedere una cultura non prettamente settoriale e relegata all’ambito degli studi umanistici (la sua formazione universitaria alla Bocconi fu quella di un economista, dopotutto), bensì uno sguardo critico d’insieme sui fenomeni ancorati al mondo di oggi, con le sue componenti tecnologico-capitalistiche e inerenti al fenomeno dei processi di globalizzazione. Basti ricordare, a tal riguardo, le lezioni da lui tenute al Politecnico di Milano nell’anno accademico 2013/2014 alla facoltà di Design, incentrate sulla nascita e sul ruolo del design nella contemporaneità e che si proponevano, con l’ultima lezione, di far chiarezza sulle implicazioni etiche eventualmente connesse alla disciplina.
Quest’ultimo richiamo testimonia l’attenzione prestata da Daverio a un amore per la cultura che non rimanga fine a se stesso, ma che sia connesso anche a una dimensione di valorizzazione pratica del sapere. In occasione del convegno Il sapere al servizio della solidarietà, tenuto a Palazzo Farnese nell’aprile del 2018, Daverio ricordò una frase del Pantagruel di François Rabelais: «Science sans conscience n’est que ruine de l’âme» («la conoscenza senza coscienza non è nient’altro che una rovina dell’anima»), per sottolineare come il patrimonio culturale di ogni persona sia da utilizzare in maniera cosciente, con spirito critico, per l’instaurazione di un rapporto interpersonale che risulti migliorato dal confronto con l’altro. Questo confronto con l’altro era particolarmente caro a Philippe, che non esitava ad aprire periodicamente le porte della sua residenza milanese, situata nel settecentesco Palazzo Ravizza in Piazza Bertarelli, per ospitare chiunque volesse prendere parte ai diversi eventi allestiti nella sala nei pressi della sua biblioteca.
Ed è proprio questo contatto con l’alterità, con diverse ‘visioni del mondo’, che connota una fra le tante maniere di intendere la pratica artistica; così la recepisce Proust, il quale, in Il tempo ritrovato, afferma che «lo stile per lo scrittore, come il colore per il pittore, non è una questione di tecnica, ma di visione». L’entità dell’impegno in ambito divulgativo di Philippe Daverio è stata quindi tale da riuscire a mostrare ad un ampio pubblico le potenzialità stesse dell’arte, del confronto con le svariate individualità emergenti dalle opere artistiche, che generano, in chi sia volenteroso di un dialogo con esse, un rapporto di godimento estetico (il cosiddetto Geniessen goethiano, ricordando un autore caro a Philippe) e di arricchimento personale.
Viene da chiedersi se, nei prossimi anni, il vuoto lasciato da Philippe Daverio possa essere colmato da figure a lui simili, capaci di una divulgazione sì accessibile, ma senza risultare banalizzata, oppure se, in un periodo di tagli alla cultura così com’è quello in cui si sta vivendo, il ritorno di programmi come quelli di Daverio sia piuttosto da intendere come un anacronismo. Un po’ come poteva essere considerato anacronistico il suo dress code, che tuttavia piaceva proprio perché era il primo particolare che lo caratterizzava, a prescindere da quella sua smodata passione per l’arte che gli ha permesso di impegnarsi così a fondo nelle sue svariate occupazioni.
P.s. Mentre stavo scrivendo questo articolo sono venuto a sapere che, il 3 settembre, a seguito del trasporto del feretro di Philippe Daverio presso la Sala della Passione della Pinacoteca di Brera in vista delle onoranze funebri, sua moglie Elena ha deciso di riporre sopra alla bara del marito, oltre alla sua decorazione della legione d’onore e a una rosa rossa, anche i suoi occhiali rotondi e un suo papillon giallo, per far sì che questi accessori lo accompagnino per sempre.
Au revoir, Philippe.