Molto meglio Valeria Golino che Margherita Buy (che pure è la vera protagonista) in “La vita possibile” di Ivano De Matteo, che affronta con piglio artistico i problemi di una donna decisa a ricominciare da zero, lasciando casa e marito dispotico, insieme al difficile figlio adolescente. Tra il lavoro pesante e l’ardua gestione dei rapporti con coniuge e ragazzo, si salverà grazie all’amica generosa e sognatrice
Esiste un quadro di René Magritte, Tentative de l’impossible, che dipinge perfettamente ciò che Ivano De Matteo cerca di fare in La vita possibile. Tavolozza alla mano, senza tela, un artista tenta di ritrarre una modella e nel farlo le dona vita. Come il surrealista belga, De Matteo (suoi La bella gente e I nostri ragazzi) tenta di nobilitare a forma d’arte l’esistente: ma mentre l’opera di Magritte si fa parabola di una riflessione fra significante e significato, gesto e intenzione, quello del regista italiano più che un tentativo dell’impossibile è un tentativo impossibile, o meglio irrealizzato.
All’ennesimo scoppio d’ira del marito padrone, Anna (una Margherita Buy davvero poco convincente) scappa da Roma assieme al figlio tredicenne Valerio (Andrea Pittorino). Ad accogliere la “sacra famiglia dimezzata” sarà Carla (per fortuna che c’è Valeria Golino) nel suo piccolo ma tiepido nido torinese. Quest’ultima, in assoluto il personaggio meglio riuscito del film, è una sorta di Frances Ha all’italiana: scanzonata e autoironica, vive nella casa avuta in eredità da una vecchia zia zitella, dove sopravvive fra esperienze amorose fallimentari e sogni d’attrice nel cassetto. Dal canto suo, Anna dovrà lambiccarsi, profuga in una città in cui deve trovare un lavoro, cercando anche di affrontare la consapevolezza di privare il figlio del padre.
Il tentativo di De Matteo e della compagna, di sceneggiatura e di vita , Valentina Ferlan, è quello di declinare la vicenda dal punto di vista del ragazzino, come il piano sequenza in soggettiva iniziale vorrebbe forse suggerire. Secondo il più prevedibile dei clichè, dopo un (evitabilissimo) scontro con la madre, Valerio cerca il padre in Mathieu (il simpatico Bruno Todeschin), un barista dal passato oscuro che lo aiuta a dimenticare una ragazza di vita (Caterina Shulha) per cui ha perso la testa. Mentre la Buy nei panni di una donna che cerca di sbarcare il lunario facendo le pulizie è più comica che tragica, simpaticissimo è invece il personaggio della Golino, tra autoironia e un benvenuto estro frizzantino.
De Matteo affronta i più caldi problemi del quotidiano di una donna e madre che deve ricominciare da zero: la ricerca di un modo per sopravvivere, i rapporti con l’ex coniuge, la crescita del figlio. Se per il primo di questi aspetti il regista si rifà senza troppa fantasia a Gli ultimi saranno ultimi (ologramma all’italiana de La Loi du Marchè), degli altri offre una visione affettata e banale, un calderone di suggestioni retoriche che nulla spartisce con chi, come i Dardenne, rendono possibile il tentativo di fare della realtà sociale un’opera d’arte.
La vita possibile, di Ivano De Matteo, con Margherita Buy, Valeria Golino, Andrea Pittorino, Caterina Shulha, Bruno Todeschin