Per aprire la stagione di prosa contemporanea del teatro di Saronno torna in scena La Molli. Una straordinaria Arianna Scommegna porta in Lombardia, prodotta da ATIR, la voce delle donne comuni attraverso attraverso l’Ulysses
La libertà di una donna. Quella assoluta del momento – della vita e del giorno – in cui nessuno può censurarla, giudicarla, forzarne i pensieri. La Molli – divertimento alle spalle di Joyce, che Arianna Scommegna riporta in scena a due decenni dalla sua scrittura, è ancora, a suo modo, una rivoluzione. Perchè lo è ancora la parola delle donne, a tutte le latitudini, che tra loro si somigliano e si riconoscono. E allora non c’è nessuna forzatura nel trasportare da Dublino a Milano una donna che è una e potrebbe essere tutte. Incluse le donne che la ascoltano risuonare, per la prima volta, all’apertura della stagione del Teatro Giuditta Pasta di Saronno, in cerca degli antichi fasti che ne facevano un centro aggregatore di una vasta fetta di varesotto e brianza e che il neodirettore artistico Andrea Chiodi vorrebbe – confida ambiziosamente ad apertura di sipario – “trasformare in un teatro d’arte”, che si assuma altrettanto coraggio di sfuggire alle proposte più facili e ammiccanti a un intrattenimento fine a se stesso. Un proponimento a cui va dato riconoscimento e forza, perfettamente sintetizzato dalla scelta di debuttare con una figura così volitiva e potente che si diluisce volutamente dentro la sua interprete, in una sovrapposizione che è il cardine su cui si regge il lavoro di riscrittura dell’ultimo capitolo del capolavoro di James Joyce e della sua protagonista. Una donna il cui volto – lo sa il regista Gabriele Vacis, che così l’ha disegnata e (in molti sensi) fissata, è sufficiente per svettare, solo, da un nero di raso scuro e velluto di quinte, calamtiando senza bisogno d’altro lo sguardo di una provincia che ride, complice, di se stessa.
E riscopre di avere un corpo, che tocca, agisce e, più di ogni altra cosa, desidera, e riavvolge il nastro di un’esistenza a nome di tutte, mentre riflette intorno a se stesso, con il sagace senso pratico di una donna come tante. E lo può attraverso e per merito di un’attrice che non ha bisogno di usarlo tutto, il proprio corpo, dentro lo spazio, se non nei gesti minimi consentiti da una confidenza in punta di sedia o – meglio, nella sicurezza in cui lo si abbandona, in un momento tra la notte e l’alba in cui è al sicuro dal mondo e abbastanza lontana per scherzarci su. Ci vuole qualcosa di più del mestiere per farlo senza far avvertire di non aver utilizzato al massimo tutti i propri strumenti, così come per virare in un attimo tra i registri, svettare nei picchi ironici e abbandonarsi agli abissi della disperazione come se renderlo fosse facile quanto seguire il pensiero di un momento. Del resto sono proprio questi, e la loro fragiilità, che la protagonista insegue, cadenzandoli con la naturalezza della vita laddove il testo chiede una corsa senza respiri nè punti. Il flusso della coscienza di una donna che non ha tempo, come non ce l’hanno gli esseri umani.
Vuol essere tutto, Molli, ed è, tutto. Quella che desidera essere, tra amanti e tragedie, scarti di tragitto, e quella che gli uomini si immaginano “un po’ mamma, un po’ porca com’è” avrebbe detto Luciano Ligabue, se le canzonette che si intrufolano nella mente della sua protagonista fossero state aggiornate a oggi. Lo sono state, però, solo fino a qualche anno fa, e così – al posto dei motivi alla moda d’inizio secolo voluti dall’autore fanno capolino Dalla e De Andrè, come entrano nell’orecchio di tutte quando una parola detta per caso ne porta alla mente un paio di versi. Del resto sono questi i suoni e le parole che potrebbe aver sentito una Molli figlia di quel tempo, che non è affatto incongruo – ancora adesso – che parli di denaro facendo ancora il cambio in lire. Non suona datato neanche in un dettaglio così piccolo, questo “divertimento alle spalle” di un testo che la vox populi (e non solo!) vuole tra i più complessi della letteratura contemporanea, ma che grazie ad Arianna Scommegna ritrova tutta la sua vitalità. nel suo creare – quasi senza prendere fiato – immagini che sono le polaroid dell’esistenza di tutte, comprese le più giovani che le lire ricordano a malapena cosa siano. Perchè a loro – che si avventurino o meno nell’impresa di affrontare il testo originale di un capolavoro del Novecento – resta il compito di riconoscere la potenza rivoluzionaria della voce di tutte le Molli, quando confessa, si commuove e canta. E soprattutto della loro ironia. Perchè – lo chiarisce la stessa attrice in un dialogo con il pubblico dopo gli applausi tanto prezioso quanto breve abbastanza da lasciare la voglia che diventi una felice consuetudine – è il patrimonio dei passi già fatti e lo sguardo verso quelli ancora da fare.