Estetista mancata, “la signora della canzone italiana” il 24 aprile a Sanremo ha ricevuto il Premio Tenco alla carriera. Nella sua lunga e fortunata carriera (112 album, 65 milioni di copie vendute) ha frequentato i generi più disparati: la musica leggera e quella d’autore, il jazz e le melodie carioca, lasciando sempre un segno inconfondibile. Segno che sicuramente lascerà il primo maggio partecipando al concerto organizzato dalla Cgil, dove renderà omaggio ai troppi morti sul lavoro con “Costruzione” di Chico Buarque
E pensare che voleva fare l’estetista. «Avevo l’acne e avrei voluto curare la pelle, la mia e quella degli altri. Ero andata a studiare lingue in Inghilterra, in Svizzera, in Francia e quando tornai a Milano non sapevo che cosa fare. Fu un’amica di mia madre a lanciare l’idea: “Hai una bella voce, perché non fai l’attrice?”. Mi iscrissi alla scuola di recitazione del Piccolo. Il giorno degli esami d’ammissione ero terrorizzata, tanto da sentirmi male. Con la V di Vanoni venni chiamata per ultima, sapevo che nella commissione c’erano grossi nomi, Strehler, Paolo Grassi, Sarah Ferrati. Avevo il cuore a mille. Recitai un pezzo dell’Elettra, ero follemente emozionata, chiedevo scusa a tutti, mi interrompevo. A un certo punto ho sentito una voce femminile: “Attenzione, qui c’è qualcosa”. Era della Ferrati. Mi presero».
Lunga la vita avventurosa di Ornella Vanoni, che domenica 24 aprile a Sanremo ha ricevuto, nel corso di una serata di parole e musica tutta dedicata a lei, il Premio Tenco alla carriera: è la prima artista ad averlo nei cinquant’anni della rassegna dedicata alla canzone d’autore, si può dire che il premio è stato inventato per lei. Esatta fuori da ogni piaggeria la motivazione, che riassume una carriera esemplare: «Straordinario esempio di interprete e autrice di una canzone sempre intelligente e ai vertici della qualità artistica, fin dagli esordi ha fornito suggestioni musicali spesso inedite e ha continuato a farlo in tutta la carriera. Con un inconfondibile stile che privilegia l’emozione, ci ha presentato le canzoni della mala, le composizioni dei cantautori genovesi e milanesi, la grande canzone poetica brasiliana andando anche a scoprire nuovi talenti compositivi nelle giovani leve italiane». La rassegna sanremese è stata sempre generosa con lei: due premi Tenco e una targa Tenco, soltanto il maestrone Francesco Guccini ha avuto altrettanto, come interprete ma anche come cantautrice. Ci arriveremo.
Ornella Vanoni commenta: «Questo Premio Tenco Speciale che ricevo mi rende molto felice, è un onore per me riceverlo. Mi divertirò, anche perché sarò insieme a tutte le persone che in questi anni hanno partecipato alla realizzazione del mio album Unica. Oltre ad alcune canzoni scritte per me da vari autori, canterò dei brani di Luigi. La prima volta che ho cantato Mi sono innamorata di te, molti anni fa alla Mostra internazionale Musica Leggera a Venezia, ho cambiato il linguaggio femminile nelle canzoni».
Riavvolgiamo il nastro. In quel 1953 in cui va a studiare recitazione al Piccolo, Ornella Vanoni ha diciannove anni. È nata a Milano il 22 settembre 1934 nel milieu della borghesia medio-alta: padre industriale farmaceutico, madre casalinga di lusso che le insegna a ben figurare: “Un filo di trucco, un filo di tacco”. Dopo qualche tempo Giorgio Strehler si accorge di lei e comincia a pedinare con la sua auto – rossa, con il tettuccio bianco – il tram con cui Ornella rientra a casa. «Quando gli dissi che la sua macchina sembrava una coppa di fragole con la panna si offese molto» ricorderà lei. Faranno coppia fissa e lei andrà a vivere con lui, che è più grande, sposato e di sinistra, con scandalo e disperazione della mamma. Dura poco quell’amore, uno-due anni, poi lei lo lascia. Colpa di Strehler che tira di coca, colpa soprattutto di un rapporto asimmetrico. «Strehler è stato compagno, amico, padre, maestro. Forse troppe cose assieme, e cose che avvenivano troppo velocemente. Un rapporto così ti leva la leggerezza. Mi sentivo bambina in un cappotto troppo grande. E poi forse Giorgio mi amava più di quanto io amassi lui».
Con lui però Ornella, partita attrice, si ritrova cantante. Avviene nel 1957, quando Strehler mette in scena I giacobini di Federico Zardi. Alla fidanzata del maestro spettano gli intermezzi fra un atto e l’altro, quando gli spettatori si alzano e vanno nel foyer. A sorpresa è un trionfo, nessuno si muove. E il regista, con Dario Fo e Fiorenzo Carpi, si inventa le “canzoni della mala”: Sentii come la vosa la sirena, Hanno ammazzato il Mario, Ma mi, Le mantellate, il Canto di carcerati calabresi e, prelevata dal repertorio di torinesi Cantacronache, La zolfara. È nato un genere, canzone d’autore con qualche punta d’artefazione che si finge popolare (manca qualche anno prima che il folk revival attecchisca in Italia con l’avventura del Nuovo Canzoniere Italiano), con cui inciderà i primi EP per la Ricordi, che con lei debutta nella “musica leggera”.
Intanto nella sua vita è entrato Gino Paoli. Genovese nato a Monfalcone il giorno dopo Ornella, pittore e grafico pubblicitario, Paoli è a Milano per proporre le canzoni che scrive a Nanni Ricordi che lo lancerà, anche se il primo disco, La gatta, vende 127 copie. Il botto lo fa con Il cielo in una stanza, interpretata da Mina. Ornella la conosce negli uffici della Ricordi, ma agli inizi non scatta niente. Gli amici comuni – Ricky Gianco, secondo la vulgata – dicono a lui che lei è lesbica, a lei che lui, mise tetra con tanto di occhiali neri, è omosessuale. Quando scopriranno che quelle dicerie sono false, partirà una storia d’amore complicata e tempestosa. Perché Paoli e sposato e Ornella sta per convolare a nozze con un impresario teatrale. «Non parlo volentieri di Lucio Ardenzi. L’ho sposato che avevo ventisei anni, l’età giusta, ma non l’uomo giusto. Non l’ho mai amato. Ero una donna sperduta. Avevo lasciato Strehler, mi ero ammalata di tisi, c’era Paoli di mezzo e lui, Lucio, era un uomo così vanitoso. Una vanità sproporzionata. Abbiamo avuto un figlio che amo, Cristiano, e questo giustifica ampiamente la nostra storia».
Con Paoli, accusato dalla critica tradizionalista di non saper cantare e di scrivere “non-canzoni”, Ornella impara a cantare. Ha esordito, sanguigna e grezza, molto teatrale e del tutto priva di sfumature, la voce tesa all’enfasi e al grido, offrendo storie di malavita. Con Paoli diventa sinuosa e seducente, affinando pian piano doti da grande interprete: l’ambasciatrice della nostra prima canzone d’autore assieme a Mina, la “signora della canzone italiana” come la chiameranno. E se Mina è nata imparata, Ornella impara, con una determinazione da stakhanovista. La “bellissima ragazza”, la donna in apparenza svagata e frivola, in realtà tormentata e in qualche periodo preda della depressione, è una macchina da guerra, una che macina dischi (in tutta la sua carriera, dal 1956 a oggi, se ne contano 112 fra album, live e antologie, con 65 milioni di copie vendute), tournée, spettacoli teatrali (anche il Rugantino, anche Pirandello, con esiti di critica più che lusinghieri), show televisivi (con Gigi Proietti, Walter Chiari e altri). Paoli scrive per lei Me in tutto il mondo e soprattutto, in omaggio alle sue “mani grandi”, il valzer Senza fine. Ornella diventa l’interprete per eccellenza: i due album che riassumono questa sua vocazione, Ai miei amici cantautori del 1968 e 1969, sono gemme pure.
La canzone non solo d’autore, la “canzonetta” come si diceva un tempo. Ovvio l’approdo al Festival di Sanremo, che Vanoni ha frequentato otto volte senza mai vincerlo: un secondo posto nel 1968 con Casa bianca, quattro quarti posti (da ricordare almeno quello del 1967 con La musica è finita, scritta per lei da Umberto Bindi e Franco Califano, tra le canzoni più belle mai approdate sul palcoscenico dell’Ariston); altrettanto ovvii per quanto non scontati i successi di quegli anni: Tu si’ ‘na cosa grande con cui vince il Festival di Napoli con Domenico Modugno nel 1964, Una ragione di più di Califano e Mino Reitano (1967), Tristezza per favore vai via… di Edu Lobo (1967), L’appuntamento dei fratelli brasiliani Erasmo e Roberto Carlos tradotto per lei da Bruno Lauzi (1970), Domani è un altro giorno prelevato dal repertorio della country-singer Tammy Wynette (1971).
I cantautori, il pop. E il Brasile. Lo abbiamo giù visto con Tristezza e L’appuntamento, Ornella ama il repertorio carioca (la si ascolti almeno affrontare Occhi negli occhi, straordinario brano scritto da un uomo, l’immenso Chico Buarque, che si mette nei panni di una donna). E nel 1976 incide con Vinicius de Moraes e Toquinho La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria, uno degli album più memorabili e perfetti della nostra discografia di sempre. Qui, oltre all’intensità, Vanoni sfoggia una maestria ritmica pari soltanto a quella di Mina (altro consiglio di ascolto: per l’intensità, provate a sentire Rosa spogliata; per la spigliatezza ritmica, Senza paura). Dopo il Brasile verranno il jazz (l’Album Ornella &… del 1986 con Herbie Hancock, Randy Brecker e altri illustri; il sofisticatissimo Argilla del 1997 con Paolo Fresu; Uomini del 1983 con Gerry Mulligan) e, a partire dagli anni ’80, una vena da cantautrice ironica e trepida pronta a disegnare una “donna nuova” fuori dai cliché (Ricetta di donna, la bellissima Vai Valentina, Musica musica, Rossetto e cioccolato).
Tanto altro ci sarebbe da aggiungere su questa voce elegante e cool che a tratti sa diventare viscerale e vibrante (anche qui, la si ascolti nell’emozionante resa di La costruzione di un amore di Ivano Fossati, anno domini 1990). Da ricordare almeno il sodalizio di una vita con Gino Paoli (due live belli e fortunati, Insieme del 1995 e Ti ricordi? No, non mi ricordo del 2004), la volta che Fabrizio De Andrè tradusse per lei Famous bue raincoat di Leonard Cohen (La famosa volpe azzurra), la volta in cui affrontò con eleganza suprema Burt Bacharach (Sogni proibiti del 2002), e le mille collaborazioni con i campioni e con i più giovani. Domenica scorsa a Sanremo le hanno reso omaggio, il Primo Maggio sarà lei a ricambiare al concerto organizzato dalla Cgil, rendendo omaggio ai troppi morti sul lavoro con Costruzione di Chico Buarque. Sarà ancora una volta un’emozione e un onore ascoltarla.