Nasceva 90 anni fa. Ci ha regalato magia. Continuiamo ad amarla, senza posa. Ma in questo anniversario dimentichiamoci di ‘Sabrina’, ‘Colazione da Tiffay’ e del suo chic a più non posso. Guardiamo Audrey Hepburn sotto un’altra luce. Quella – più autentica – che ha messo in ‘ Due per la strada’ e ‘Robin e Marian’
Credo non ci sia nulla di più stucchevole, quando si parla di Audrey Hepburn, del sentire la solita litania di quanto fosse chic, piena di stile, elegante, bella, un giovane passerotto, buona, piena di grazia, e poi di nuovo chic ed elegante. Per questo forse, per cercare di onorarla in maniera un po’ diversa dal solito a 90 anni dalla sua nascita, vorremmo parlare di lei attraverso due film in cui non è la solita Audrey Hepburn. Quindi niente Sabrina, niente Vacanze Romane, niente Colazione da Tiffany da qui in avanti. E che i Givenchy vadano alle ortiche.
Nel 1967 Audrey ha 38 anni, un marito – Mel Ferrer sposato nel ’54 – un bambino, Sean, nato nel 1960 e una casa in Svizzera. Ha da poco avuto un aborto spontaneo, il terzo, e anche il suo matrimonio non sta tanto bene. Il grande Stanley Donen, che l’ha diretta in Sciarada con Cary Grant e in Funny Face con Fred Astaire le ha mandato un copione da leggere. È la storia di una coppia, di due che s’incontrano, si sposano, pensano di divorziare, forse si lasceranno forse no. Una storia come tante, una storia che inizia divertente e non fa in tempo a diventare sentimentale, che viene continuamente interrotta dalla vita, fatta di momenti brutti, di fastidio, di rabbia e di dolore. Nel copione ci sono anche un po’ di parolacce, costumi da bagno, pelle nuda, letti sfatti. E quindi Audrey dice no grazie.
Ci sono troppe cose che non quadrano con la sua immagine, quella così aggraziata a cui il pubblico è ormai abituato. E poi perché parlare di matrimoni in rovina, quando c’è già il suo che le basta e avanza. Dice di no, ma Donen non si dà per vinto e prende un aereo insieme allo sceneggiatore Frederic Raphael. Praticamente si mettono a zerbino davanti a lei fino a quando quel no diventa sì. La Hepburn accetta di fare il film e il risultato è un gioiellino, Due per la strada, Two for the road.
Insieme a lei c’è Albert Finney. Divertente, veloce, ironico, impertinente. Tutto il contrario di quello stoccafisso che si è sposata. Con Ferrer, Audrey si era cristallizzata in un’icona della grazia, della purezza, virginale. Come Natascia, il personaggio da lei interpretato nella versione hollywoodiana di Guerra e Pace dove Ferrer faceva il Principe Andrej (totalmente miscast fra parentesi, lui alto e biondo, contro Andrej che nel romanzo era piccoletto, secco nervoso).
Fasciata dai suoi vestiti impeccabili, Audrey si è autocostretta in una parte di dama algida, elegante e lontana, tutta sorrisi e distacco. Negli anni ha scoperto che la sua parte aristocratica (sua madre era la baronessa Ella Van Heemstra, figlia di un governatore del Suriname) le regala autorevolezza, distacco e ammirazione. Ma dopo due secondi trascorsi con quel filibustiere di Finney, ogni suo formalismo viene distrutto e i tailleur di Givenchy dimenticati. Anzi, per l’occasione utilizza dapprima dei semplici jeans e magliette e poi osa con le minigonne di Mary Quant, con i vestiti corazza di Courrèges e il completo pantaloni in PVC nero di Paco Rabanne.
È difficile trovare un altro film in cui la Hepburn ride con maggiore libertà, in cui si mostra per quello che realmente è, in cui abbraccia il suo partner con un affetto e una luce che le viene dal cuore come in Due per la Strada. Forse lei e Finney si sono davvero innamorati sul set, non si sa. Di certo c’è un forte sospetto che abbiano avuto una storia, spesso andavano a cena insieme, loro due da soli, lontani dagli occhi di tutti. Ma nonostante Finney sia stato un grande sciupafemmine, non ha mai commentato la sua relazione con Hepburn. Per molti questo è un indizio in più a favore di questa tesi. Un anno dopo l’uscita del film lei divorzia da Ferrer.
Nel 1976, quasi dieci anni dopo Due per la Strada, Audrey ha 47 anni ed è su un nuovo set. Non fa film dal 1967, da Due per la Strada. Ha divorziato, si è risposata con uno psichiatra italiano, Andrea Dotti, ha avuto un altro figlio, Luca, e di nuovo il suo matrimonio naviga in cattive acque. Questa volta il regista è Richard Lester, che negli anni ’60 ha girato i film dei Beatles, e il soggetto racconta la storia di Robin Hood, Sean Connery, che ritorna in Inghilterra dopo anni trascorsi a fare le crociate in Palestina e qui incontra di nuovo la sua Marian, lasciata tanti anni prima. Solo che Marian adesso è diventata una suora, anzi, la badessa di un piccolo convento vessato sempre dal terribile sceriffo di Nottingham.
È una donna indurita Marian, che dopo aver sofferto la solitudine si è votata alla solitudine per scelta. Che dopo aver patito l’assenza del suo amore ha scelto di amare l’inesistente per eccellenza, Dio. Quando Robin ritorna cerca di resistergli, ma dura poco. Torna con lui, torna ai boschi, alle foglie di quercia, agli accampamenti con gli amici di sempre. Solo che ormai sono vecchietti entrambi (perché nel 1200 a 45/50 anni sei a un passo dalla tomba), entrambi disillusi, feriti dalla vita, fragili. Robin ancora è uno spaccone, ma di buon cuore e Marian lo segue, lo contiene, a modo suo lo protegge. Fino alla decisione finale, dura e pietosa al tempo stesso.
Di questo film il famoso critico Roger Ebert scrisse: “A prescindere da ciò che il regista e lo sceneggiatore avevano in mente, fra di loro Connery e Hepburn sembrano aver raggiunto una tacita intesa sui loro personaggi. Sono luminosi, sembrano davvero innamorati. E si proiettano sui loro ruoli come persone le meravigliosamente complesse, affettuose e tenere che sono; i vent’anni trascorsi ha dato loro grazia e saggezza”.
Ecco, mai come prima d’ora, la grazia e la saggezza che Audrey dimostra nel suo ruolo hanno finalmente un peso dato dal tempo trascorso, dall’autenticità che ha costruito, dal senso del sé. Non è più una ragazzina, non ha più bisogno di dimostrare continuamente un virginale candore, e anche in questo caso i suoi Givenchy sono stati sostituiti da larghe palandrane da suora. Quello che si dice essere vestita con un sacco. E con quel sacco lei risplende, come direbbe Ebert “è luminosa”, con quella luce forse meno scintillante delle star, più soffusa e calda. La luce di chi conosce la malinconia, l’abbandono, la seconda chance.
Ed è in questo film che la Hepburn fa una delle più belle dichiarazioni d’amore che le sia mai capitato di fare: “Ti amo. Più di quanto tu creda. Ti amo più dei bambini. Più che campi che ho piantato con le mie mani. Ti amo più delle preghiere del mattino, più della pace o del cibo che ristora. Ti amo più della luce del sole, più della carne o della gioia, più della vita. Ti amo … più di Dio”.
Un po’ come l’amiamo noi.
Immagine di copertina: Philippe Halsman (1906-1979), Audrey Hepburn, Italy, July 1955 (dettaglio)