L’amore di Mina, Halim e Yousseff. Nascosto tra le pieghe di un caftano blu

In Cinema

Premiato a Cannes nel 2022, esce il secondo film della brava regista e sceneggiatrice marocchina Maryam Touzani (già autrice di “Adam”), un racconto familiare delicato, intenso e coraggioso. E’ la storia di un uomo fragile, innamorato della sua arte di sarto e della moglie forte e sensibile, ma condannata da un male incurabile. Che dando prova di un’idea alta dell’amore sceglierà di “affidarlo” al giovane assistente, perché si occupi con calore di lui, nella bottega e nella vita.

E’ uno dei finali più liberi, commoventi e intelligenti degli ultimi tempi quello di Il caftano blu, opera seconda della regista e sceneggiatrice marocchina 43enne Maryam Touzani, premiato lo scorso anno al Festival di Cannes dalla giuria Fipresci, sezione Un certain regard dove nel 2019 era passato già il suo intenso debutto, Adam, ambientato come questo nella Medina, nel centro storico di una città di mare del suo paese, in quel caso Casablanca, qui l’ancor più antica Saleh. E’ un delicato, originale e coraggioso racconto familiare che gira intorno a un eccellente (per scrittura e interpretazione) personaggio femminile, Mina (cui dà volto Lubna Azabal, brava e bella attrice belga di origini marocchine, già ottima protagonista di Adam).

Proprietaria con il marito Halim (Saleh Bakri) di un negozio di caftani, gli eleganti e costosi abiti da cerimonia che si vedono nel film, alcuni davvero raffinati, bellissimi, gestisce il negozio e le vendite, mentre il marito dalla mano magica, è l’artigiano che li confeziona, seguendo la tradizione di un padre che si rivelerà figura negativa per lui. Sposati da 25 anni, lavorano con grande armonia e sono la classica rappresentazione degli opposti che si legano: lei è forte, amministra con piglio dolce ma sicuro gli affari e la vita domestica, lui invece appare fragile, malinconico e sembra trovare una tranquilla felicità soprattutto in un lavoro dal difficile futuro e non troppo remunerativo.

L’equilibrio di questa unione ha una svolta quando i due, sopraffatti dalla mole di lavoro, decidono di assumere il giovane assistente Youseff (Ayoub Missioui), che subito si rivela sveglio, svelto a imparare e appassionato come Halim di questo mestiere antico e complicato. E che dell’uomo presto si innamora, intuendo che il non detto di quella coppia all’apparenza “normale” è un segreto ben custodito dentro una società ostile, l’omosessualità di lui. Mina capisce subito che il marito ne è attratto ma non se lo vuole confessare e perciò si immerge ancor più in quel lavoro che è anche arte. Nasce una naturale gelosia, smentita però dall’amore che continua a unirli.

Ma la svolta profonda e convincente del racconto sta nell’ultima parte, che precipita per il tumore irreversibile che sta portando Mina alla morte: deciderà di accettare il nuovo arrivato, perfino il posto che è destinato ad occupare nel cuore di Halim, per non lasciare solo questo suo sposo delicato, indifeso. Perché il vero tema del film è ciò che si è pronti a fare per amore. Come spiega la stessa regista, “Mina è pronta a vedere il marito finalmente felice se solo si accettasse, e per amore verso di lui cercherà di liberarlo, spingerlo ad amarsi. E cosa c’è di più bello che essere accettati come siamo da chi amiamo?”. Così lei, fino all’ultimo religiosa fervente, si consegna a Dio benedicendo un’unione maledetta dalla società in cui vive e condannata in primo luogo dal clero musulmano.

Touzani gestisce questa materia sensibile, viva, e al tempo stesso profonda con una notevole delicatezza, intreccia le vicende dei tre personaggi con la stessa cura e attenzione con cui Halim intreccia i fili dorati del caftano. Il suo è un cinema concreto, che ama le superfici, vive o no, che riprende, quasi esplora nei particolari: il blu delicato del caftano, le venature dei legni, la rotondità e la lucentezza dei mandarini, ma anche la luminosità dei volti e dei corpi, senza nascondere le grinze e le ferite che la vita ha inflitto alla loro pelle. Dipinge i loro corpi, è stato scritto, come nei quadri fiamminghi.

Touzani è anche interessata ai momenti concreti del lavoro sartoriale, non si limita a farne una metafora esistenziale che esalta intreccio e pazienza. Nella penombra della bottega il sarto insegna all’apprendista come piegare il filo per rendere il ricamo più duraturo, e insieme fanno scorrere le mani sui tessuti delicati, in cerca del tono di colore più adatto. Del resto, alla base del film, ha spiegato l’autrice, c’e proprio un vecchio caftano di sua madre (“L’ho sempre trovato prezioso perché racconta la storia di una persona che per realizzarlo ha impiegato giorni e mesi, impregnandolo della sua anima”). E anche un incontro accaduto durante la lavorazione di Adam, quello con un gentiluomo che gestiva un salone di bellezza per donne: “è lui che ha ispirato il personaggio di Halim. Ho avuto l’impressione che ci fossero molte cose non dette nella sua vita, come se cercasse di essere chi non era a causa dell’ambiente conservatore che lo circondava. Ho immaginato la sua vita, ma non ho osato fargli domande personali, intime. Ho trascorso molto tempo con lui, mi ha segnato nel profondo”. Per dire, quanto vita e cinema possono essere assai vicini.


Il caftano blu, di Maryam Touzani, con Lubna Azabal, Saleh Bakri, Ayoub Messioui, Abdelhamid Zoughi, Zakaria Atifi, Fouzia Ejjawi

(Visited 1 times, 1 visits today)