Dopo la trilogia sul lavoro che l’ha reso famoso (anche grazie al protagonista Vincent Lindon), Stéphane Brizé cambia temi ma non registro: il suo occhio è sempre rivolto all’intimità dei personaggi, qui impersonati da Guillaume Canet e Alba Rohrwacher, lui attore in crisi, lei brava pianista, che hanno alle spalle una storia e si ritrovano. Un racconto raffinato e sorprendente che Inizia da commedia quasi surreale, ti lascia intravedere un paesaggio romantico appena fuori fuoco, si allarga in una sorta di sinfonia malinconica e poi sfiora il dramma. Ma si ferma sulla soglia
Mathieu (Guillaume Canet) è un attore cinematografico famoso, di quelli che vengono riconosciuti ovunque vadano, e stava per debuttare in uno spettacolo teatrale. Ma è fuggito, in preda al panico, a pochi giorni dalla prima, ossessionato dall’idea di un possibile fallimento e dall’incapacità di uscire da quella che per troppi anni è stata la sua comfort zone. Gli altri membri della compagnia non hanno preso benissimo la defezione, anche perché contavano proprio sulla sua notorietà per vendere al meglio lo spettacolo. Incapace di affrontare la situazione, scosso, in preda a rimorsi e dubbi, Mathieu non trova di meglio che rifugiarsi in una spa di lusso, in una cittadina sulla costa francese, sperando di ritrovare equilibrio e serenità grazie alla talassoterapia e alla totale assenza di contatti umani.
Ma la vita, si sa, è quello che succede intanto che noi pianifichiamo come dovrebbe essere, e spesso non sarà mai. E così, proprio in questa cittadina sperduta il protagonista ritrova Alice (Alba Rohrwacher), la donna con cui quindici anni prima aveva avuto una relazione. Alice è sposata con un medico, ha una figlia adolescente, suona ancora il pianoforte; anche Mathieu è sposato, ma questo incontro inaspettato, fuori stagione (proprio questo, Hors Saison, è il bellissimo titolo originale), sembra in grado di sparigliare le carte, confondendo le linee di un destino che pareva tracciato.
Scritto (con Marie Drucker) e diretto da Stéphane Brizé, Le occasioni dell’amore è un film che ti prende costantemente in contropiede. Inizia come una commedia quasi surreale (con un goffo Mathieu che vaga disorientato per l’albergo senza riuscire nemmeno a prendersi un caffè o aprire una porta), ti lascia fugacemente intravedere un paesaggio romantico appena fuori fuoco, si allarga in una sorta di sinfonia malinconica che sfiora il dramma e sceglie infine di fermarsi sulla soglia, lasciando a chi vede l’onere (e l’onore) di interpretare e giocare: con il caso, la vita, il destino, nella grande infinita arena delle possibilità.
Brizé è diventato famoso grazie alla “trilogia sul lavoro” interpretata da Vincent Lindon, e quel cinema rabbioso e immediatamente politico potrebbe sembrare lontano anni luce dall’atmosfera di quest’ultimo film. Ma forse è solo un gioco di specchi e riflessi e non dovrebbe trarre in inganno: l’intenzione di Brizé in fondo non è cambiata affatto. In La legge del mercato, In guerra e Un altro mondo in primo piano c’erano questioni civili e sociali, ma quello che all’autore davvero interessava era l’intimità, l’umanità dei suoi personaggi, le cicatrici, le ferite, la loro energia nonostante tutto vitale. Esattamente come in Le occasioni dell’amore, un film che sembra frutto di una semplice pausa intimista ma si rivela ben presto ricco di sfumature e interrogativi esistenziali tutt’altro che banali. Un racconto raffinato e sorprendente, in bilico tra passato e presente, desiderio, paura e smarrimento. Un film da assaporare, come un ricordo, come un rimpianto.
Le occasioni dell’amore di Stéphane Brizé, con Guillaume Canet, Alba Rohrwacher, Marie Drucker, Sharif Andoura, Emmy Boissard Paumelle