Lampedusa Beach: in scena al Piccolo Teatro la prima parte della trilogia di Lina Prosa
Quando di un’opera si dice che è “molto attuale”, bisogna stare sempre un po’ attenti. Per una svariata, ricchissima dote di motivazioni: didascalismi soffusi, retorica a buon mercato, ruffianerie torrenziali.
Lampedusa Beach – il primo dei tre testi che compongono la Trilogia del naufragio di Lina Prosa, già messo in scena a Parigi nel 2013 – non è esente dai vizi sopra descritti. A voler giocare al ribasso e tirare sferzate di banalità, si potrebbe dire che Lampedusa Beach è un teso monologo ispirato al dramma dell’immigrazione. Può andar bene per il titolo frettoloso di un articolo da rivista media, per la strap di un telenotiziario discreto e superficiale, e in parte per l’opera di Lina Prosa.
Liquidare così il lavoro della Prosa, però, sarebbe ingiusto: nonostante qualche ingenuità e un – fisiologico? – calo di ritmo nella seconda parte del monologo, Lampedusa Beach riesce però a mozzare il fiato, in ogni senso. Nel vuoto d’apnea della protagonista, viaggiatrice dall’Affffrica con un paio di occhiali da sole in direzione Lampedusa, sopravvive l’ambizione della drammaturga siciliana. Che licenzia, tra ovvietà e inaspettati picchi d’ironia, il tremendo viaggio morale e subacqueo di Shauba. Ed è proprio “moralità” uno dei termini chiave per leggere la rappresentazione: immorale è stipare settecento esseri umani su una nave diretta verso l’occidente “capitalista” ma latore di speranza. Prosa, che dello spettacolo è anche sapiente regista, immerge Shauba in un parauniverso estraniato e lattiginoso, in cui ogni stimolo e ricordo in arrivo dall’esterno assume contorni adesso deformati, adesso furibondi. Un paio d’occhiali da sole la salverà, o perlomeno salverà la protagonista: si muove con estrema libertà su un palco che potrebbe essere il legno marcescente di un barcone, la sabbia di una spiaggia italiana troppo simile a quelle dell’Affffrica, un fondale marino invaso dalle azzeccate luci di scena.
In mezzo c’è una tragedia umana, un canto mozzato di dignità e sentimenti che non esistono più: la carne degli uomini diventa merce ad appannaggio degli scafisti, ogni guizzo della mente viene triturato e archiviato a favore di un annichilimento psicologico senza eguali. Lina Prosa riesce a delinearne le geometrie con meticolosa precisione. Elisa Lucarelli, poi, è la vera most valuable player della situazione: interprete mai affettata e di enorme intensità, regge con delicatezza lo spettacolo con solide capacità da attrice. Non è facile annegare nelle parole e nelle acque con tanto rigore, e lei vi riesce in maniera perfetta. È anche grazie al suo talento che si perdonano alcune – irrilevanti – incursioni in territorio retorica da parte del testo, soprattutto verso l’epilogo. Lampedusa Beach, a voler essere sintetici, è imperfetto – ma rilevante.
(Per la clip si ringrazia Piccolo Teatro, la foto è di Leda Terrana)
LAMPEDUSA BEACH, di Lina Prosa, al Piccolo Teatro Grassi fino al 4 novembre