“Il vero mistero del mondo è quello che si vede, non l’invisibile”.
“Il grande realismo è un’aspirazione ad allontanare dal quadro l’effetto artistico puramente esteriore e a materializzare il contenuto dell’opera attraverso la semplice (non artistica) riproduzione del mero oggetto nudo. Proprio grazie a questa riduzione al minimo dell’effetto artistico, l’anima dell’oggetto risuona con la massima intensità. L’effetto artistico portato al minimo deve considerarsi il principale fattore astratto”.
Sembra un paradosso che questa frase sia stata scritta dal massimo esponente dell’arte astratta, Vasilij Kandinskij, nel 1912. Una frase che è premonitrice di quanto avverrà in Europa negli anni immediatamente precedenti e successivi alla fine della Prima guerra mondiale.
Non sappiamo se Jean Cocteau la conoscesse quando nel 1926 pubblica Le rappel à l’ordre, una raccolta di saggi scritti tra il 1917 e il 1923. Ma certamente nei suoi scritti risuona il punto di vista dell’artista russo. Il “ritorno all’ordine” di cui parla Cocteau non è certo un pompieristico appello al ritorno all’arte borghese dell’Ottocento, quella che precede le grandi avanguardie dell’inizio del secolo. È una riflessione più sottile che interpreta il malessere che serpeggia nei circoli artistici alla fine della guerra. Una guerra che i futuristi italiani avevano annunciato come salvifica soluzione all’inesorabile decadimento borghese e meccanicistico e che si risolse in un massacro insensato.
No, il richiamo all’ordine è una doverosa e breve pausa di riflessione a quanto avvenuto nei decenni precedenti. La fine del positivismo, le innovazioni scientifiche, Einstein, Bohr, Freud, il cubismo, il futurismo, il suprematismo, l’astrattismo, la guerra, la rivoluzione bolscevica… È lo stesso Picasso a fare da guida, con altri pittori che vivono a Parigi, in questa direzione.
In Italia e in Germania questo ritorno viene interpretato da alcuni artisti che esprimono due movimenti che si assomigliano, si guardano, si confrontano ma che resteranno profondamente diversi: in Germania gli artisti che si riconoscono nella Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività), in Italia gli artisti identificati nel Realismo magico, un ossimoro coniato nel 1927 dallo scrittore e critico Massimo Bontempelli.
Al Realismo magico. Uno stile italiano è dedicato una mostra attualmente a Palazzo Reale (fino al 27 febbraio 2022) a cura di Gabriella Belli e Valerio Terraroli.
La mostra, trent’anni dopo quella organizzata sempre a Palazzo Reale da Maurizio Fagiolo dell’Arco, espone più di cento opere degli artisti italiani a fianco di una dozzina di dipinti di quanti, negli stessi anni, operavano in Austria e Germania.
Entrambi i movimenti si rifacevano alle medesime premesse – un recupero della classicità, una ricerca di un nuovo linguaggio pittorico e realista – e avevano come riferimento virtuoso la pittura metafisica e il suo grande protagonista Giorgio De Chirico.
Ma proprio l’aspirazione a un ritorno al classico – di neoclassicismo si è pure parlato –, alla pittura dei volumi prerinascimentale, fa la differenza tra tedeschi e italiani. I riferimenti dei primi sono Grünewald, Schongauer, dei secondi Giotto, Masaccio, Piero, in generale un’aspirazione alla romanità e senza troppi espliciti ammiccamenti al regime fascista.
Ma non di movimento si deve parlare. Fu una temperie, un’atmosfera, un approccio. Scrive in catalogo uno dei curatori, Valerio Terraroli: “Ma soprattutto si tratta di singole individualità, di affinità, contaminazioni, non di una sintassi teorizzata e condivisa”.
In mostra questo aspetto è esplicito e apprezzabile.
Si comincia con le tracce, con artisti che provengono da altri movimenti e che preannunciano o suscitano le atmosfere realistico magiche: De Chirico, Carrà – con lo stupendo dipinto Pino sul mare del 1921 che è un manifesto di tutto il movimento e che bene introduce all’atmosfera che pervade tutta la mostra –, Sironi.
Poi l’artista che forse meglio incarna lo spirito del movimento, Felice Casorati, che teorizza: “Mentre è tendenza generale della pittura contemporanea la ricerca dell’espressione attraverso il colore e il segno, io sento invece piuttosto il valore della forma, dei piani, dei volumi ottenuto per mezzo di un colore tonale non realistico e insomma di quella che può dirsi architettura del quadro”.
Vero. Gli artisti che seguono sembra prendano alla lettera questa affermazione. L’atmosfera magica è spesso ottenuta con una rigorosa impostazione dell’architettura del quadro e con una luce rarefatta, quasi sempre difficile da individuare e che pervade più che illuminare i dipinti. I ritratti dedicati a Silvana Cenni e alla famiglia dell’industriale e mecenate Riccardo Gualino ne sono eccellente testimonianza.
Gli artisti che dopo Casorati meglio incarnano lo spirito e l’atmosfera realistico magica sono Ubaldo Oppi, Cagnaccio di San Pietro, Antonio Donghi.
Ubaldo Oppi inquadra i suoi ritratti in architetture evocative. I ritratti della moglie sullo sfondo di Venezia, i suoi chirurghi non appartengono a nessuna tradizione conosciuta se non, alla lontana, alle impostazioni pittoriche bramantesche.
Cagnaccio di San Pietro, pseudonimo di Natalino Bentivoglio Scarpa, veneziano d’adozione e di elezione, di tutti è il più crudo. Allo stesso tempo fortemente realista e magicamente allusivo. I suoi dipinti erotici non ammiccano al voyerismo. Nel dipinto Dopo l’orgia del 1928 tra le ragazze nude si intravede un polsino con un gemello che riproduce un distintivo fascista. Margherita Sarfatti non lo ammise alla Biennale.
I suoi ritratti di bambini raggelano: visi precocemente invecchiati che precorrono vite deludenti o fallimentari.
Antonio Donghi è forse il più magico di questi artisti. Non a caso la casa editrice Sellerio ha spesso scelto suoi ritratti per le copertine dei libri di Andrea Camilleri uno scrittore “realista e magico” che oscilla tra il grottesco e la poesia. Il suo Gli amanti alla stazione del 1933 esprime una sgomenta, enigmatica sospensione.
Tra gli altri protagonisti di questo periodo – Tozzi, Funi, Arturo Martini, Carlo Levi – meritano una menzione particolare il bellissimo Pomeriggio a Fiesole (1926-29) di Baccio Maria Bacci e le opere di Mario e Edita Broglio in cui la magia dei soggetti diventa rarefatta, impalpabile, evanescente. Irresistibile.
Il Realismo magico ha breve vita. Nato e definito da drammatiche vicende storiche, si esaurisce quando l’aria politica in Germania e Italia si fa irrespirabile. Dalla seconda metà degli anni Trenta si stenta a riconoscere la purezza e la bellezza che aveva mosso gli esperimenti degli anni precedenti.
La mostra è bellissima e appagante e questo breve contributo si può concludere con la citazione di Oscar Wilde scelta dalla curatrice Gabriella Belli a chiusura del suo bel saggio.
“Il vero mistero del mondo è quello che si vede, non l’invisibile”.
Immagine di copertina: Antonio Donghi, Donna al caffè, 1931, olio su tela, Venezia, Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna, (Archivio fotografico Fondazione Musei Civici, Venezia). © Antonio Donghi by SIAE 2021