“L’antagonista” racconta una porzione di vita di un uomo reduce da una separazione che decide di prendersi una pausa dal suo lavoro di web content editor e dedicarsi alla scrittura di un romanzo.
Difficile che un romanzo non racconti una sofferenza. Di solito si tratta di sofferenze prodotte da avvenimenti che interrompono l’ordine della vita, e nello sviluppo della storia trovano una forma di riparazione. Poi ci sono i romanzi pervasi dalla sofferenza dove la contiguità con il dolore non ha niente di eccezionale, come se la consapevolezza della fine del proprio mondo fosse nell’ordine naturale delle cose. A scrivere di una sofferenza endogena e inestirpabile è un esordiente trentenne nato a Città del Messico che vive a Cassino e si chiama Edoardo Zambelli. L’antagonista è il titolo del suo romanzo e racconta una porzione di vita di un uomo reduce da una separazione che decide di prendersi una pausa dal suo lavoro di web content editor e dedicarsi alla scrittura di un romanzo. Un desiderio probabilmente antico nella mente del personaggio che viene svelato nella sua urgenza dallo zampettio ipnotico di una mosca sullo schermo del televisore. Siamo solo alla prima pagina e assistiamo alla prima di una serie di annunciazioni che precedono i passaggi di consapevolezza del protagonista nell’arco della sua storia.
Avevo trentatré anni, e una mosca sul televisore sembrava saperne molto di più di me sulla mia vita.
L’insetto vola via e l’uomo chiede in prestito la casa sul mare di un amico. In pochi giorni si trasferisce. Il romanzo che sta per essere scritto non ha ancora una storia ma solo un’immagine: una donna che passeggia sulla spiaggia.
Appena arrivato nella nuova casa sarà un’altra immagine di donna tra le pagine di un quotidiano che deciderà il destino imminente dello scrittore. Erika, un amore giovanile mai dimenticato, si è suicidata. Aveva ricevuto una sua mail qualche anno prima, non aveva risposto.
La storia della ragazza che passeggia sulla spiaggia e la ricostruzione della vita di Erika viaggiano parallele a capitoli alterni, anticipatrici entrambe di un esito inaccettabile in cui la seduzione è presagio di morte.
La costruzione narrativa fa venire in mente le opere di Escher, geometrie espressive con un rigore impeccabile. I personaggi appaiono accompagnati da visioni o all’interno di una quotidianità apparentemente insignificante ma quando ritornano ci rendono conto con precisione del motivo della loro prima apparizione. Ognuno di loro ha un suo percorso dentro la storia che si disvela alla chiusura del cerchio. Ma il cerchio non è la figura geometrica che contiene la narrazione. Zambelli sembra inventarne una tutta sua che comprende uomini apparsi in sogno, presunti articoli di giornale, una collezione di tecniche seduttive e un altrettanto ricca collezioni di modi di morire che culmina nell’omicidio di beneficenza.
Tra i personaggi si contano una mosca, quella che passeggia sullo schermo del televisore, un cane, un lupo e un gabbiano.
Una volta ho visto una strega cavalcare un lupo – dice un passeggero su un treno.
Il lupo annuncia una verità, un frammento di una realtà che galleggia nel sogno e si nutre di miti e coincidenze tutt’altro che terrene. Solo gli animali possono permettersi di incarnare, in una narrazione precisa e coerente nei dettagli e fiabesca nel sapore, il ruolo di profeti disseminati sul cammino della conoscenza.
Piove spesso nel romanzo di Zambelli, immerso in un grigiore triste per tutti, anche per i sicari. Un grigiore in cui trova spazio, pagina dopo pagina, una forma autentica di perdono.
La definizione migliore dell’universo narrativo de L’antagonista l’ha data Giulio Mozzi: “realismo minato”.