Al MAST di Bologna, fotografie, video installazioni ed esperienze immersive per raccontare le trasformazioni che l’uomo ha provocato al pianeta.
Cominciamo dal titolo della mostra: Anthropocene.
Il progetto si basa sulla ricerca del gruppo internazionale di scienziati Anthropocene Working Group impegnato nel raccogliere prove del passaggio dall’attuale epoca geologica – l’Olocene, iniziato circa 11.700 anni fa – all’Anthropocene (dal greco anthropos, uomo). La ricerca vuole dimostrare che gli esseri umani sono diventati la forza più determinante nelle trasformazioni del nostro pianeta.
Gli interventi dell’uomo su scala planetaria sono così pesanti che i loro effetti sono destinati a perdurare e a influenzare il corso delle ere geologiche. Pensiamo alle profonde ferite dell’estrazione mineraria, al consumo-trasformazione della terra attraverso l’urbanizzazione, l’industrializzazione, l’agricoltura; alla proliferazione delle dighe e alla frequente deviazione dei corsi d’acqua; all’eccesso di CO2 e l’acidificazione degli oceani dovuti al cambiamento climatico; alla presenza pervasiva e globale della plastica, del cemento e di altri tecno-fossili.
E veniamo alla mostra: foto e filmati multimediali, bellissimi e agghiaccianti.
Vediamo enormi chiocciole screziate di rosa, arancio, grigi: sembrano magnifici fossili, invenzioni psichedeliche, invece Burtynsky fotografa con potentissimi riflettori il fondo oscuro di una Miniera di potassio, a Brenzniki, in Russia; le spirali sono le impronte delle ruote della scavatrice.
Ecco un ventaglio di sabbia argentata circondato da una nuvola di seta, bianco cangiante che galleggia su un’acqua verde con riflessi blu elettrico: si tratta del Bacino di decantazione di residui di fosforo n.4, a Lakeland, Florida, USA.
E poi l’incredibile caleidoscopio di colori della Discarica di Dandora, a Nairobi, in Kenya, la più grande del mondo; sembra la caverna di Alì Babà con uomini, donne, bambini che si aggirano come i ladroni per raccoglierne i tesori.
Sorprendenti sono i grandi murales di Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier che raffigurano un bosco, una barriera corallina, il mercato di Lagos. Sono creati con la tecnica della fotogrammetria in cui migliaia di fotografie ad alta definizione, scattate da tutte le angolazioni, anche con l’utilizzo di droni, vengono assemblate in ambiente digitale e sono visibili con le App AVARA (scaricabile gratuitamente su Apple App Store e Google Play, sul proprio smartphone/tablet o sui tablet messi a disposizione dal MAST).
L’effetto, oltre alla straordinaria definizione delle immagini, vivide che ti sembra di poterle toccare, più sorprendenti di qualsiasi dipinto naturalistico di Leonardo o degli olandesi, è quello di immergerci fisicamente nell’ambiente, nel suo mutare, nel pulsare della vita. Nel sottobosco della foresta Cathedral Grove di Vancouver Island, in Canada, vediamo aggirarsi ogni tipo di insetti, i germogli crescere, i raggi di luce colpire una foglia. Ma accanto ecco le foto della deforestazione, l’abbattimento degli alberi anche tramite esplosione, i cadaveri dei loro tronchi feriti a morte.
Al mercato del Mushin Market di Lagos in Nigeria seguiamo il brulichio dei venditori che trasportano le merci.
E ancora il muro di corallo incontaminato Penganquale esempio positivo e ormai raro, nel Komodo National Park, in Indonesia, la varietà di sorprese che ci riserva questa barriera corallina intatta, supera qualsiasi immaginazione, stordisce.
Ma accanto ne vediamo una morire, vittima del riscaldamento globale, è quella del parco marino dell’isola di Komo, in Indonesia, vittima di una grave processo di sbiancamento.
Anthropocene, di Edward Burtynsky, Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, a cura di Urs Stahel, Sophie Hackett, e Andrea Kunard, Bologna, MAST, fino al 22 settembre 2019.
Immagine di copertina: Edward Burtynsky, Oxford Tire Pile #1, Westley, California, USA, 1999. Courtesy Admira Photography, Milan/Nicholas Metivier Gallery, Toronto