Fino all’11 febbraio prossimo il PAC di Milano ospita “Argentina. Quel che la notte racconta al giorno”, una selezione di opere realizzate da più di venti artisti argentini di diverse generazioni negli ultimi cinquant’anni. Attraverso sculture, installazioni, fotografie, video e performance, il progetto curatoriale si sviluppa su tre assi – ironia, letteralità e citazione – che presentano differenti modalità di approccio alla rappresentazione di una cultura spesso caratterizzata, in passato così come oggi, da forme di violenza.
Si prova un certo disagio davanti a En el sexto dia di Alessandra Sanguinetti. Ogni foto rappresenta la cruda violenza che l’essere umano esercita sull’animale, raffigurando quest’ultimo morto o prossimo alla morte. Non so se siano più angoscianti le foto degli animali beatamente inconsapevoli della loro sorte o quelle in cui il loro sguardo tradisce una profonda consapevolezza di ciò che sta per accadere. Le immagini colpiscono per la loro crudezza: non siamo abituati a vedere lo sgozzamento di un animale.
Le foto di Sanguinetti possono innescare una riflessione su ciò che viene presentato come un fatto normale, quotidiano e naturale. Dare la morte implica sempre una qualche forma di violenza, ma in alcuni casi essa viene a tal punto normalizzata da sfuggirci di mente. Forse dimenticare vuol dire consegnare all’ordine naturale delle cose.
La mostra Argentina. Quel che la notte racconta al giorno, a cura di Andrés Duprat e Diego Sileo al PAC di Milano, è organizzata attorno al concetto di violenza, dai tagli di Lucio Fontana, che denotano un’accezione più metaforica di questo concetto, alla Bocanada di Graciela Sacco, al contempo incarnazione della fame ed espressione di rivendicazioni mute. La mostra parla di violenza come di un’azione spiccatamente umana, che avviene su larga scala e che si estende nel tempo, quasi all’infinito. Una tale macchina, però, per essere efficace, non può essere né esplicita né troppo manifesta. Non può avvenire alla luce del sole. La violenza che veramente viene esercitata in maniera capillare è quella che non viene vista come tale. È quella che avviene nel buio della notte. Il titolo della mostra , quel che la notte racconta al giorno, allude all’omonimo romanzo di Hector Bianciotti, ma più concretamente si fa metafora di una violenza che si nega e si nasconde nella notte, lontano dalla luce del giorno. Spetta alla notte raccontare ciò che il giorno non conosce, come spetta alle opere in mostra raccontare la storia velata della violenza.
Che sia il cristo mortifero de La civilization occidental y cristiana di Leon Ferrari o i corpi brutalizzati delle donne guatemalteche in Canibal di Ana Gallardo, sembra che la violenza si nasconda tra le crepe di una società che si rifiuta di riconoscerla. L’Argentina, infatti, è un paese intriso di violenza, vittima di una delle dittature più sanguinose dell’America Latina, nel corso della quale i dissidenti politici venivano sequestrati nel mezzo della notte e detenuti clandestinamente. Più di 30.000 persone scomparse nel nulla senza lasciar traccia. I Desaparecidos sono l’esempio lampante di quella violenza che agisce nel segreto della notte, che occulta le verità più scomode e che normalizza un regime che si serve di qualunque mezzo per restare al potere. Ma la violenza affonda con radici anche più profonde. Cristina Piffer in Doscientos pesos fuertes mette in discussione il modello economico agro-esportatore dell’Argentina e rivela le basi su cui esso poggia: l’espropriazione delle terre dei nativi, per mezzo di una sanguinosa campagna militare che ha decimato le popolazioni locali.
La mostra permette di fare una riflessione più ampia sullo statuto dell’umanità nel 2024: quali violenze nascondiamo? La massa amorfa a cui Eduardo Basualdo dà forma in Un peligro pende sobre nuestras cabezas ricorda una terra desolata, appena distrutta da un’eruzione vulcanica o da un qualche cataclisma naturale. È difficile non pensare alla minaccia ambientale che pende sopra le nostre teste; un pericolo che spesso nascondiamo a noi stessi e di cui non vogliamo assumerci la responsabilità. La massa nera schiaccia delle sagome umane sul pavimento, ormai incapaci di affrontare il pericolo e abbandonate a loro stesse. Leon Ferrari già nel 1965 affermava che “la nostra civiltà sta raggiungendo il più avanzato grado di barbarie mai registrato”: rivelandoci incapaci di spezzare il ciclo della violenza forse intende metterci in guardia: perché anche noi rischiamo di essere schiacciati dal peso delle nostre scelte.
In copertina: Argentina. Quel che la notte racconta al giorno, veduta della mostra, foto Nico Covre – Vulcano Agency. In primo piano: Eduardo Basualdo, Moderno pupila, 2022, installazione, courtesy l’artista