“L’arte del manifesto giapponese” di Giancarlo Calza, pubblicato da Skira, raccoglie quasi mille manifesti dal 1955 al 2020, l’anno delle Olimpiadi, destinate poi a slittare nel 2021 causa pandemia.
Una meravigliosa, fantastica, coloratissima antologia con rappresentati tutti i grandi grafici. Ma è quel che ci sta dietro che è interessante, che ci apre una nuova visione, ed è che proprio la tesi che il media-manifesto sia innanzi tutto una forma d’arte, attestazione non scontata, e che sia proprio il manifesto la forma d’arte più adatta e più efficace per rendere la complessità del nostro tempo.
Altra idea forte del libro è che i giapponesi siano i più bravi a creare manifesti. Cominciamo da qui.
Per comprendere il design del disegno giapponese contemporaneo, dice Giancarlo Calza, bisogna prima capire che nel paese del sol Levante i confini tra design grafico e pubblicità sono inconsistenti. In Giappone abbiamo un buon design grafico, una buona pubblicità e ci si aspetta che i graphic designer e gli art director pubblicitari siano competenti nei rispettivi settori. Questa la premessa.
Al volgere del millennio, la progettazione e l’esecuzione di manifesti giapponesi stampati in offset, che riprendeva un’eredità artigianale di maestri della carta, dell’inchiostro e della tecnologia di stampa, avevano raggiunto la qualità della stampa artistica.
Grazie alla loro vitalità, alla compresenza di tradizione e attualità riescono nella funzione che l’arte ha di trasmettere una visione della realtà in fieri, quella che ci troviamo davanti; le loro immagini rispecchiano, anticipano, mutano la nostra cultura, la nostra estetica, i nostri consumi, i nostri sentimenti.
Ancora una volta i giapponesi hanno dalla loro parte l’antica tradizione della stampa ukiyo-e, quella che fece impazzire alla fine dell’Ottocento prima gli impressionisti e, col fenomeno del giapponismo, il mondo intero. Li abbiamo scopiazzati a piene mani, tanto che alcune scelte stilistiche come l’assenza di prospettiva, la colorazione piatta, le linee di contorno sono diventate parte della nostra modernità.
Come lo scopo delle antiche stampe era di pubblicizzare uno spettacolo del teatro kabuki, lo spettacolo più popolare, così lo scopo del manifesto è di comunicare al più vasto pubblico possibile un messaggio specifico, che può essere commerciale, culturale, ambientale. Deve poi sottostare a molti limiti, il committente in primis, poi i limiti economici e anche fisici, come il formato, il supporto, i materiali scelti. E’ proprio nel superamento di questi limiti in modo che uniscano in maniera armonica ed efficace contenuti, risultato estetico ed espressione dell’autore che si misura la grandezza del grafico.
Oltre alla tradizione, un elemento incomparabile nella grafica giapponese è l’inserimento di ideogrammi. La calligrafia stessa (Shodō) è un’arte riconosciuta e da sempre fa parte della rappresentazione grafica. Oltre alla relazione profonda tra immagine e scrittura, la tradizione emerge anche nella scelta cromatica e simbolica. Quando un manifesto riesce a mettere insieme messaggio, tradizione o sua rivisitazione, contemporaneità, e ancora altri elementi quali l’ironia, il sogno, la visione della realtà e della società dell’autore e a trasmetterlo al suo pubblico, ma anche a tutti noi, allora si tratta di autentica opera d’arte.
Si diceva che questo libro offre una panoramica sul manifesto giapponese fino al 2020, quando Tokyo avrebbe ospitato per la seconda volta le Olimpiadi. Il ricordo va ai primi giochi del 1964, anno cruciale perché significava l’ingresso ufficiale del Giappone nel consesso mondiale, dopo il disastro della seconda guerra mondiale.
Il manifesto vincente fu di Yūsaku Kamekura: un grande cerchio rosso, simbolo del Sol Levante, occupa più della metà del manifesto, sovrastando gli anelli olimpici in oro, più in baso il nome di Tokyo e la data. E’ la bandiera del Giappone che riconosciamo subito, ma per Kamekura il cerchio rosso rappresenta il sole come un simbolo evocativo per tutti. I colori sono quelli nazionali, il rosso e il bianco, l’oro degli anelli simboleggia la festività. Nel suo minimalismo il manifesto raccoglie tutti gli elementi fondamentali della comunicazione, rendendo il messaggio comprensibile a livello internazionale e mantenendo il suo carattere nipponico.
Alcuni temi si sono consolidati e sono diventati veri e propri filoni, supportati da competizioni periodiche. E’ il caso dei manifesti dedicati all’acqua, all’ambiente, a Hiroshima – come gli Hiroshima Appeals, una serie annuale iniziata nel 1983 da Yūsaku Kamekura. Su uno sfondo di un azzurro livido precipita una pioggia di farfalle infuocate. E’ straziante vedere bruciare tanta bellezza.