Iperborea propone in italiano Laxdaela saga, uno dei più importanti cicli medievali islandesi tradotto da Silvia Cosimini
Laxdœla saga (in italiano: Saga dei valligiani di Laxárdalr) è uno dei più importanti cicli narrativi degli islandesi. Raccolto in testi scritti a partire dal XIII secolo, ci è è stato tramandato da diversi manoscritti e alcuni di questi presentano delle versioni piuttosto diverse. Sintomo del grande successo che ha avuto nel corso dei secoli.
L’Iperborea, casa editrice che della letteratura nord-europea ha fatto la sua specialità, ne ha appena pubblicato una traduzione dall’islandese antico per le cure di Silvia Cosimini e con la post-fazione di Alessandro Zironi. Il testo si basa sull’edizione di Einar Olafur Sveinsson del 1934 e riesce nel difficile equilibrio di conciliare la scorrevolezza della lettura per un lettore moderno con la solennità primitiva dell’islandese antico, i suoi costrutti paratattici, il vocabolario quotidiano, ripetitivo e limitato.
È davvero un altro mondo l’Islanda, non solo per il freddo polare, i vulcani e i fiordi, ma per la libertà che hanno donne e uomini di scegliere il loro destino e di scegliersi tra di loro – non esiste che un matrimonio venga combinato dal padre senza il consenso della ragazza – poi c’è un misto di passione, vendetta e di bisogno ristabilire la pace e il diritto riunendosi in assemblea, e ancora lo spirito d’avventura, i viaggi, le esplorazioni: ancora una volta donne e uomini alla pari. Mai conosciuta in oriente e occidente tanta libertà.
La storia è a dir poco avvincente. Racconta di Ketill Naso Piatto e del suo clan che nell’XI secolo lasciano la Norvegia per non sottomettersi alla monarchia e approdano nella Valle del Laxà, il fiume dei Salmoni, nell’Islanda dell’ovest. Altri clan sbarcano a sud, a est, costruiscono grandi fattorie, fanno vantaggiosi matrimoni tra di loro, litigano e si combattono, si riuniscono in assemblee per tentare mediazioni, partono per conoscere altri mondi e fare commerci che li rendono ricchissimi, alcun tornano, altri diventano insigni personaggi in luoghi lontanissimi.
Lo stesso Ketill Naso Piatto con parte della famiglia se ne andrà in Scozia; il nipote all’inizio è un pirata, razzia e saccheggia ogni porto, poi fa la pace con gli scozzesi, ne diventa re, ma morirà vittima di una congiura.
La madre, Unnr la Sagace, capisce che «non avrebbe avuto grandi prospettive rimanendo lì», ma non si spaventa affatto: di nascosto si fa costruire una grande nave, dove imbarca i sopravvissuti e grandi ricchezze: «difficile immaginare una donna tanto eccezionale» da non perdere la testa e organizzare tutto in modo così pratico. Unnr salpa per un po’ si insedia nelle Isole Orcadi, poi in Scozia e in altri porti, sempre lasciando nipoti e famigli, combinando matrimoni, che daranno origine alle stirpi più insigni dei paesi colonizzati. Ritorna infine in Islanda, qui concede parte dei suoi terreni e delle ricchezze ai suoi uomini e libera gli schiavi per ricompensarli delle loro lealtà.
Di solito i giovani viaggiano per poi tornare a sposarsi, costruire una nuova fattoria e metter su famiglia, ma spesso il desiderio di avventura è troppo forte e riprendono la via del mare.
Così Höskuldur, nipote di Unnr, lascia alla moglie Jòrunn, che non è affatto contenta, la responsabilità della casa e dei quattro figli e parte. Nelle Isole Branno «partecipa a un’assemblea dei capi per ristabilire la pace nella regione. Era considerato un vero divertimento perché si riunivano persone provenienti da tutti i paesi conosciuti». E qui c’è l’incontro fatale con una bellissima e misteriosa schiava muta, che sembra uscita dalle Mille e una notte. Tornati a casa con un bel bambino, esplode la gelosia della moglie che li fa allontanare.
La storia assomiglia a quella biblica del triangolo Abramo, Sara, Agar, ma si scopre che la schiava muta non è muta affatto, e che anzi è la figlia rapita del re d’Irlanda, e siccome siamo in Islanda, invece di strapparsi i capelli per esser stata ripudiata, si risposa felicemente e suo figlio avrà un magnifico destino, nonostante le continue trame di Jòrunn per farlo fuori.
Difficile scegliere tra i personaggi, pieni di contraddizioni e di fascino. Sorprende che invece di vivere in castelli costruiscano fattorie, magari molto grandi con belle travi scolpite, ma sempre tenendo presente il lato concreto della vita: il bestiame, il pascolo, la pesca; unico lusso sono vestiti di porpora, gioielli e spade incise in oro.
Ogni tanto compaiono spiriti maligni, quelli che vengono dalle Isole Ebridi sono i più crudeli e ne fanno di tutti i colori, ma alla fine vengono bruciati e non tornano più.
Gli islandesi fanno meravigliosi sogni premonitori e sono fedeli alle loro divinità; resistono al re di Norvegia che li vuol costringere a convertirsi alla nuova religione trattenendo i loro mercanti come ostaggi, poi verso la fine del XII secolo capiscono che il cristianesimo può anche esser giusto, purché possano continuare a sacrificare alle fonti calde e agli antenati.
Laxdœla saga di AA. VV. (Iperborea 2015, pp 303, 18,00 euro)