Teatro “civile”, è il turno di Marco Paolini…
“Non ho voglia di aspettare il futuro, per cui lo racconto adesso”. Storie ambientate in un futuro distopico in teatro se ne sono viste diverse, ma è la prima volta che lo sceglie anche un alfiere del cosiddetto teatro civile italiano. Marco Paolini torna al teatro, al Piccolo Teatro in particolare, con l’obiettivo di mettere in crisi le certezze che “lo so, voi volete da me”.
Le stesse che non ha più il fotografo protagonista della storia: Ettore Achille – un nome antico per abitare il futuro: un altro spunto non privo di curiose evocazioni – quando una donna che ama senza conoscerla, come spesso accade oggi, gli chiede di fare da padre a suo figlio.
Così cambia la prospettiva di un uomo abituato a bastare a sé stesso che vive una periferia veneta abitata da negozianti sardo-cinesi che si fanno chiamare Ajò e nascondono pattade nelle maniche, dentro a un mondo dove il porto di Marghera si è trasformato in fabbrica per una neve che il cambiamento climatico ha ormai cancellato.
Si ride e si sorride, come Marco Paolini sa fare anche sui temi più seri e dolorosi, ma senza mai che questo diventi un alibi per non pensare.
Siamo sicuri che il futuro della tecnologia, in cui l’intelligenza artificiale presto surclasserà quella umana, sia un futuro roseo?
A incarnare questa domanda, scivolando come sulla neve, appunto, agilmente lontano dalla retorica del porla direttamente, è un bambino. O quantomeno, lo sembra. In questo nuovo album, Paolini lascia il suo storico alter ego Nicola per evocarlo in un insolito ragazzino che all’anagrafe è registrato come: Nicolas Fermat. Un altro nome che dice molto, una volta ancora, perché “le parole sono importanti quando si attaccano alle forme”) Ma lui si fa chiamare soltanto Numero Primo. Si innamora di tutto, il piccolo Numero. Parla male, ma di scienza e fisica sa più di quanto qualsiasi essere umano potrebbe sapere in una vita intera.
Ma al nuovo padre e al suo nuovo figlio questo sembra non importare. Crescono insieme, tra Mestre, Venezia e Trieste cambiate ma ancora simili a se stesse, in cui suona lo stesso dialetto, In scuole dove la multiculturalità è ormai un dato eppure le dinamiche umane sono rimaste le stesse. In un futuro che sa di presente, ancora entrambi da decifrare, Numero – e con lui Ettore – “impara sbagliando e imparando sbaglia”
A sostenere la storia l’ormai notissimo talento affabulatorio di Marco Paolini, che questa volta può appoggiarsi su un romanzo, scritto a quattro mani con Gianfranco Bettin, che gli fornisce le parole e persino le rime, che di nuovo per parlare di futuro gli offrono i suoni di un cantastorie antico e sempre sciamanico.
Una voce che tesse trame in uno spazio più che mai scarnificato, dove solo un masso costituisce il solo compagno di scena. Accanto a quella che è la protagonista occulta di tutta la storia di Numero Primo di sua padre e di una madre che è solo una voce: la macchina, (attraverso i video di Michele Mescalchin) che nel suo continuo inarrestabile progredire si è insieme allontanata e avvicinata tanto a lui da poter diventare pericolosa, persino potenzialmente letale, come oggi soltanto l’essere umano può essere.
É una riflessione che si tiene in un equilibrio precario e vertiginoso insieme, come le giostre del piccolo Mario Gizzo, tra natura, umanità e tecnica.
“Le avventure di Numero Primo”, suggerendo un futuro probabile e consapevolmente destinato a essere smentito come per definizione tutta la fantascienza, dice – con strumenti del passato ma non passati – un presente al quale non si può sfuggire.
Paolini racconta anche la sua età, e il rapporto del suo tempo con la tecnologia. Tempo inteso come generazione, costretta a imparare a stare in un mondo che non c’era e che dovrà cambiare ancora troppo in fretta perché anche i nativi digitali riescano a evitare l’angoscia di sentirsi, presto, troppo indietro. Tempo però anche come epoca, che proietta la sua fiducia a qualcosa che sarà. E spera.
Paolini ha il merito, tutt’altro che scontato, di evitare la banalità del giudizio passatista sul futuro che incombe quanto la fiducia cieca nelle predicate meraviglie che saranno. E sceglie gli occhi di un bambino che sa tutto di ciò che si può imparare ma niente di quel che si vive. Eppure sorride al passato che vede per la prima volta, e lo ammira. E prende per mano suo padre, l’umano: “Siamo diventando proprio coraggiosi, papà”.
Foto di Ivana Sunjic Porta
Video di Jolefilm
Le avventure di numero Primo, dal al Piccolo Teatro Strehler