Lovecraft ci porta in un paesaggio antartico montuoso, inquietante, selvaggio e impetuoso
Quel vento che nei Consigli Inutili di Malerba produceva melodie carezzevoli tra le fronde degli alberi, in At the mountains of madness di Howard Phillips Lovecraft corre impetuoso tra cime montuose in un paesaggio Antartico, provocando un inquietante e selvaggio stridio acuto «come di flauti suonati con consapevolezza».
Questo contorno musicale ci proietta nel paesaggio lovecraftiano già carichi di un senso di sproporzione. Una dismisura che avvertiamo nel tempo e nello spazio: una équipe accademica si dirige in un paesaggio ostile, innevato e vulcanico, tempestoso e allo stesso tempo soleggiato (ma soprattutto sterminato) dell’Antartide per delle indagini a scopo scientifico, e si imbatte in reperti (e creature) di età talmente remote da far pensare ad una scoperta rivoluzionaria in campo biologico, tale anzi da poter sovvertire il sistema evolutivo per come lo conosciamo.
Si tratta degli Antichi, esseri giunti dallo spazio in età remotissime, aurorali, e un tempo dominatori della Terra. Ormai ben note ai lettori di Lovecraft, queste creature compaiono per la prima volta in questo racconto, datato 1931 e recentemente ripubblicato da Il Saggiatore con il titolo di Le Montagne della Follia. Nato come un omaggio ad Arthur Gordon Pym di Edgar Allan Poe, il romanzo di Lovecraft si nutre del tema delle spedizioni in Antartide; Lovecraft scriveva infatti nei giorni immediatamente successivi alle spedizioni dell’ammiraglio Byrd, e dimostra di aver studiato con precisione la geografia del luogo, come possiamo comprendere dai riferimenti alle montagne Transantartiche che attraversano il continente. Tutto ciò viene coniugato in un radicale aggiornamento sul mito di Cthulhu in un delirio linguistico che, come scriveva Giuseppe Lippi nel 1992, è in realtà «un delirio freddamente calcolato, un incubo paleontologico».
C’è infatti una spinta centripeta che tende verso ordine e misura: il narratore, un geologo, riporta con precisione tutti i dati circa gli spostamenti nello spazio, calcolati in latitudine e longitudine; ma la nevrosi è anche linguistica, nella ricchezza di lessico specifico e tecnico delle varie discipline, dalle diverse età preistoriche agli strumenti di indagine geologica: tassonomie, tecniche di trivellazione, stratificazione delle rocce, catalogazione di piante e fossili.
Quale sensazione possa provare il lettore di fronte ad una narrazione sostenuta, intricata, contrastante, è cosa nota; perfettamente in linea con la propria concezione di orrore cosmico, l’autore ci lascia, almeno per qualche ora, la traccia di un brivido che ci spinge a volgere lo sguardo al cielo, perché, come ha detto Manganelli, «sgomenta non la concretezza dell’apparizione, ma la sua sacrilega aspirazione ad esistere».
Le Montagne della Follia, Howard Phillips Lovecraft, (Il Saggiatore, 2015, pp. 118, 15 euro)
Immagine: At the Mountains of Madness di Mr. Evil Cheese Scientist