Col terzo album, “Simple Stories”, il cantautore toscano interiorizza il suo linguaggio, lo depura dalle inflessioni elettro-rock e vira verso un folk intimista e solare, genuino e non banale
Dimenticate Sanremo. Lontane dai testi concitati e dalle imperiose sonorità “autotune” del festival, le canzoni di Marco Lippini (cantautore toscano, meglio pratese, nonché nostro collaboratore) esprimono una lirica gentile e malinconica. Non a caso l’album si intitola Simple Stories e contiene brani che raccontano momenti di vita domestica, catturano lievi trasalimenti dell’anima e sono conditi dal sorriso e da metafore appena suggerite ma non per questo meno significative. Del resto il disco (il terzo dopo Accertable Theories e Home Forest) assomiglia molto al suo autore.
Simple Stories (Illustrazione di Hossam Fazulla)
Un songwriter toscano che ha fatto due dischi in inglese ora si mette a scrivere (anche) in italiano. Già questa è una notizia
Sì esatto è senz’altro una novità rispetto ai “lavori” precedenti: scrivere brani in lingua nativa. La gestazione ha richiesto un po’ di tempo. Ma alla semina è seguito il raccolto. La ricerca ossessiva della perfezione secondo me è poco produttiva e provoca insoddisfazione anch’essa sterile.
Perché Simple Stories?
Per il titolo del disco mi sono ispirato alla frase di Leonardo da Vinci ”la semplicità è l’ultima sofisticazione”. Il profetico Pasolini diceva che il sistema non vuole buoni figli ma buoni consumatori. Confido che col tempo l’essere umano si ravveda e comprenda che discernere cosa è veramente necessario e cosa no sia l’unico modo per garantirsi un presente e un futuro roseo e luminoso.
Come è evoluto il tuo genere elettro-rock?
Sempre meno elettro, sempre meno rock e sempre più folk. Ho acquisito uno stile più minimalista, più intimo, con una musicalità più morbida. Un musicista evolve anche per ciò che ascolta. Naturalmente non si tratta di copiare ma di riconoscere delle influenze. Peraltro riscontrabili in ogni artista.
Che cosa ascolti ora?
I miei ascolti variano dal jazz, alla classica, passando per la musica africana, per esempio di Francis Bebey e dei Tinariwen. I miei ascolti più “pop” ultimamente sono The Smile, Mac de Marco, The Lemon Twigs, Beach House, NuGenea, The Voidz e Juan Wauters. Recentemente ho scoperto un cantautore giapponese che mi piace: si chiama Haroumi Hosono.
Come hai prodotto questo album?
Grazie alla collaborazione col musicista e cantautore Andrea Franchi, alias Druga (ex Paolo Benvegnù, Proiettili Buoni). Registrare le parti nel suo studio ha dato una certa intimità al lavoro. Lo ringrazio perché ha accettato la mia proposta e non era scontato.
Gattona tu è evidentemente esistenzial-metaforica. Ma quando dici “la tua dignità non ha pari/ Se la compariamo a certi ariani” a cosa ti riferisci?
Gattona tu è dedicata alla mia gatta Daisy, un essere speciale. Osservandola interagire con le cose e le persone ho potuto apprezzare la sua dignità e intelligenza. A differenza di certa gente. Il termine ariani ovviamente si riferisce ai prepotenti di ogni tempo e latitudine.
Hai seguito Sanremo?
No, non ho seguito Sanremo. Serate troppo lunghe e non aggiungo altro.
Ti dividi ancora tra l’attività di sommelier e quella di cantautore?
Per me le attività di sommelier e cantautore sono state complementari. Vino e musica vanno d’accordo. Ma al momento non mi occupo quasi più di vino, diciamo che sono un sommelier casalingo per la gioia di mia mia moglie e degli amici.
Foto di copertina: Duccio Burberi