“Tatami” dell’espatriata iraniana Zar Amir e dell’israelo-americano Guy Nattiv racconta la battaglia di un’atleta e della sua allenatrice per vincere una gara mondiale. Non devono affrontare solo le agguerrite avversarie, ma anche le autorità del paese, liberticida e oscurantista, che rappresentano: l’Iran. Contando sulle loro spalle, decisamente forti, e sulla collera, l’orgoglio che le sostiene. Un film teso e rabbioso, un thriller psicologico così vicino alla realtà che sembra preso dalla cronaca sportiva
Non è una storia vera ma è come se lo fosse, quella raccontata da Tatami, firmato a quattro mani dall’iraniana (trapiantata a Parigi) Zar Amir e dall’israeliano (americano) Guy Nattiv. La judoka iraniana Leila Hosseini (Arienne Mandi) partecipa al campionato mondiale di judo che si svolge a Tbilisi, in Georgia. Ha buone probabilità di arrivare a conquistare la medaglia d’oro ed è ottimista, molto motivata, grazie anche al sostegno a bordo tatami della sua allenatrice, Maryam (la co-regista Zar Amir, già vincitrice del premio per la Miglior Interpretazione a Cannes 2022 per Holy Spider). Ma, incontro dopo incontro, le possibilità che Leila si ritrovi in finale a combattere con l’atleta israeliana si fanno sempre più concrete, e una simile eventualità è semplicemente inaccettabile per il governo iraniano.
Arriva così l’ordine, perentorio e senza possibilità di discussione: Leila deve fingere un infortunio e ritirarsi dalla competizione. Per Leila, ma anche per Maryam, un ordine atroce, incomprensibile, che significa la rinuncia a tutto ciò per cui hanno lavorato duramente per anni. Un sacrificio assurdo che la protagonista si rifiuta di compiere: ma i mezzi di persuasione delle autorità iraniane sono tanti e possono avere conseguenze terribili. Tra un match e l’altro, in un crescendo di minacce e violenze, il film si dipana come un thriller psicologico, dove il discorso politico si incarna nel sudore, nel sangue e nelle lacrime, nella volontà e nell’orgoglio di due donne che si trovano a portare sulle spalle (tutt’altro che fragili) tutto il peso di una scelta drammatica che nessun essere umano dovrebbe mai essere costretto a fare.
Una judoka di nome Laila non è mai esistita, ma la sua storia di finzione è ispirata a numerose storie vere di atlete iraniane costrette a fuggire all’estero per poter continuare a costruire la loro carriera sportiva e non smettere di inseguire i loro sogni. Vengono in mente Sadaf Khadem, riconosciuta come la prima boxeur iraniana, o la campionessa di taekwondo Kimia Alizadeh, obbligata a chiedere asilo politico in Germania dopo aver vinto un bronzo olimpico. Donne costrette a lasciare per sempre il proprio paese, a mettere in pericolo le proprie vite e quelle di tutte le persone care per ribellarsi a un regime liberticida che agisce in nome di un’idea di religione accecata dall’odio. Nei confronti delle donne, soprattutto, ma anche degli uomini. Nei confronti di tutto ciò che profuma di vita e libertà.
Un ottimo film, teso e rabbioso, che non si limita a urlare o a mettere in scena come in un compitino ben fatto l’aspirazione a un mondo migliore, ma usa la collera, l’indignazione, la forza e l’orgoglio come armi potenti contro ogni forma di oscurantismo. Non solo quello del regime iraniano.
Tatami – Una donna in lotta per la libertà, di Zar Amir e Guy Nattiv, con Arienne Mandi, Zar Amir, Jaime Ray Newman, Nadine Marshall, Lir Katz