Quel diavolo di Cortés: “La terza pallottola” di Leo Perutz

In Letteratura

Franz Grumbach è un irregolare: nobile, tedesco, valente e luterano decide di schierarsi contro il suo imperatore (Carlo V), che l’ha bandito, e, insieme, contro tutto ciò che il Vecchio Mondo incarna. Diventa così il più terribile antagonista di Cortés, che assedia di Tenichtitlán, perché decide di schierarsi con gli indios in quel luogo estremo che è il Nuovo Mondo, dove realtà e allucinazione e mistero siedono allo stesso tavolo. Proprio così lo immaginò Leo Perutz nel suo romanzo d’esordio, che Adelphi pubblica.

Quando La terza pallottola uscì nel 1915, pochi conoscevano il nome del suo autore, un giovane matematico di Praga, Leo Perutz, cresciuto nel fervido ambiente letterario della Vienna di inizio Novecento. Il successo fu immediato e inaspettato, perché Perutz non aveva né conoscenze né appoggi. A determinare il successo de La terza pallottola fu il suo stile inedito: l’insinuarsi in una rigorosa narrazione storica dell’elemento onirico-fantastico, che la avvolge come una strana nebbia in cui passato e presente, realtà e immaginazione, si alternano e confondono, fino a trascinare il lettore dentro una realtà allucinata.



Altro elemento che contribuì al successo fu l’argomento: lo sfondo principale, estremo e feroce, è l’assedio spagnolo di Tenochtitlán, e il protagonista è Franz Grumbach, wildgravio tedesco bandito dall’imperatore Carlo V per la sua fede luterana e rifugiatosi nel Nuovo Mondo, dove, seguendo i suoi nobili ideali, combatte i conquistadores al fianco degli indios.

I personaggi, la violenza, gli oscuri intrighi, ricordano quelli del magnifico film Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi, che racconta gli ultimi giorni di vita di Giovanni dalle Bande Nere, il mitico capitano di ventura che difende gli stati italiani, sempre in lotta tra di loro, dall’invasione dell’imperatore Carlo V: lo stesso feroce conquistatore delle Americhe contro cui si batte il nostro Franz Grumbach. Certo nel libro di Perutz siamo in Centro America, e l’elemento magico, surreale, si mescola alla realtà storica di modo che il racconto, nel suo clima generale, assume il sapore del mito.

Fra inganni, atti di brutale violenza, inquietanti fenomeni ‘naturali’ (come l’edera che avanza rapidissima dalla selva e per tre giorni avvolge l’accampamento degli assedianti spagnoli) e apparizioni diaboliche, assistiamo all’implacabile rivalità tra Grumbach e il sadico, seducente duca di Mendoza, figlio come lui del re Filippo di Spagna e amico fidato dell’implacabile Cortés, lui sì vero demonio.
In un dialogo degno de Il maestro e Margherita di Bulgakov tra Grumbach e il Diavolo, che gli offre i suoi servigi per vincere la guerra, Grumbach gli chiede cosa Cortés gli abbia promesso in cambio.

“Cortés? il suo cuore palpitante”. Rispose il diavolo intimorito.
Allora Grumbach scoppiò in una risata irrefrenabile, si gettò sulla panca di legno, come se non riuscisse a stare ritto in piedi per il gran ridere, e infine gridò: “Ecco il diavolo turlupinato due volte: lo sanno tutti che Diego Velásquez, il reggente dell’imperatore, ha mandato qui proprio Cortés a sottomettere queste terre alla corona imperiale a costo di qualsiasi efferatezza, perché costui ha un sasso al posto del cuore. Ehi, vi hanno abbindolato in modo davvero ignobile!”

E seguendo le loro traversie rimarremo anche noi avvinti – come lo fu Borges, che apprezzava con devozione Perutz – da questa narrazione “fragorosa, piena di immagini e colori, intarsiata di continue dissolvenze tra sonno e veglia, dove gli innumerevoli fili sembrano convergere sull’unico archibugio superstite, che può sparare solo tre pallottole maledette in cui sono iscritti il destino dell’impero Azteco e, insieme, quello tragico di Grumbach”.

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