Cosa ha significato la potente narrazione dell’Esodo nei secoli? È la domanda di senso della lettura del testo biblico che arriva dal grande egittologo Jan Assmann: un momento di rottura della storia umana che fonda il patto di fedeltà con il divino alla base delle grandi religioni monoteiste e anche il simbolo di ogni liberazione in cui si lascia tutto alle spalle, per costruire un nuovo mondo
‘L’esodo dall’Egitto rimane il nostro punto di partenza’, Sigmund Freud.
‘All’inizio fu la fede: la fede in un unico Dio’ , Heinrich August Winkler
‘Il big bang della modernizzazione ebbe luogo con…l’esodo dal mondo delle culture politeistiche’, Aleida Assmann.
Il libro dell’Esodo costituisce il mito fondativo di Israele e insieme del mondo ebraico-cristiano-islamico centrato sul monoteismo, grande rivoluzione/ rivelazione del mondo moderno.
Nella sua avventurosa narrazione, pubblicata ora da Adelphi per la traduzione di Ada Vigliani, l’egittologo tedesco Jan Assmann dichiara la sua ambizione: “Scrivere la storia riguardante la ricezione del libro dell’Esodo tocca quindi il limite dell’impossibile: la sua influenza è sterminata, la sua eco incommensurabile. Perciò vorrei piuttosto cercare di scoprire in che cosa consista il carattere unico di tale influenza e portare alla luce i nuclei mitici che determinano la sua forza di attrazione“.
È proprio dei miti essere raccontati di continuo e in sempre nuove versioni. Essi hanno la capacità di fondare e spiegare la vita. Attraverso le loro storie aiutano le società, gli individui a costruirsi un’identità, a capire chi sono e qual è il loro mondo, a inserirsi e a dominarlo.
Alla luce del mito di Osiride, per esempio, gli Egizi hanno compiuto una rielaborazione culturale della morte. Alla luce del mito di Edipo, Sigmund Freud ha compreso le nevrosi dei suoi pazienti.
Alla luce del mito dell’Esodo, gli ebrei si chiedono chi sono e cosa Dio intende fare di loro.
Non sembra che gli egizi si siano mai posti tali questioni: erano uomini come gli altri, creati insieme agli altri esseri viventi, incluse le divinità, loro compito era perpetuare i riti e mantenerli al riparo dai cambiamenti. Nessun destino particolare, nessuna missione divina.
Il mito dell’Esodo narra invece la storia dei figli d’Israele che Dio libera dalla servitù egizia e che sceglie tra tutti i popoli , diventano il popolo eletto che stringe con lui un patto, e realizza con loro il progetto di una società giusta. Qualcosa di assolutamente nuovo.
Per liberare Israele, Dio è intervenuto direttamente liberandola con violenza dall’oppressione egizia e per eleggerla a popolo di Dio, per stringere con lei un patto di una nuova religione e la conquista di una nuova terra promessa.
L’Esodo è la trasmissione alle generazioni future di eventi passati che non devono essere dimenticati, ed è proprio qui che ai tre nuclei principali, Esodo, Patto e Terra promessa si aggiunge un quarto motivo, quello dei peccati dei padri: a causa del loro tradimento del patto sul Sinai, dell’adorazione di altri dei, furono costretti a vagare per quarant’anni nel deserto prima che i loro discendenti riuscissero a raggiungere la Terra promessa.
Storia della salvezza e storia della sventura, premio e punizione, sono inestricabilmente connessi. Così è, per citare un esempio, la promessa della liberazione dalla schiavitù che ha come conseguenza le sette piaghe d’Egitto e l’attraversamento del Mar Rosso con il conseguente affogamento dell’esercito del Faraone.
Attraverso questo mito, Israele costruisce una memoria che lo definisce come gruppo ed è in grado di radicarlo nelle profondità del tempo e dello spazio e insieme di tenerlo unito per sempre. Quindi il libro dell’Esodo codifica nelle due forme del racconto e della legislazione, l’unica rivelazione davvero epocale, che tutto muta e in cui Dio è uscito dalla sua segretezza e incomprensibilità e ha manifestato la sua volontà al popolo eletto.
È da questo patto che secondo Assmann nasce la storia.
La rivelazione dell’esodo e del Sinai è il modello di tutte le rivelazioni successive, il fondamento di una nuova forma di religione, sia ‘essa veterotestamentaria, neotestamentaria o islamica’, scrive Assmann che spiega che la sua vuole essere una ‘lettura risonante, una lettura per necessità di cose assolutamente soggettiva dei testi biblici, nella quale riecheggi il più possibile ciò che mi è divenuto familiare sia grazie ai miei interessi di egittologo e genericamente culturali sia a seguito delle mie
esperienze personali”.
Per la sua pregnanza, per le sue conseguenze socio-politiche, l’Esodo non è solo un libro della Bibbia, ma è anche, ricorda Assmann, il simbolo di ogni liberazione in cui si lascia tutto alle spalle, per costruire un nuovo mondo. Gli ebrei sono gli oppressi di tutto il mondo, gli Egizi gli oppressori, come evoca una cantata di Bach per la seconda domenica d’Avvento: ‘ Quando arriverà il giorno in cui lasceremo l’Egitto di questo mondo?’
La prima parte del libro è dedicata alle terribili sofferenze subite dagli israeliti in terra d’ Egitto, che culmina con l’ordine del faraone di gettare nel Nilo tutti i figli maschi degli ebrei; alla strage sfugge un piccolo che viene posto in una cesta e raccolto dalla figlia del faraone. Sarà lei a dargli il nome di Mosè e a crescerlo a corte. Il giovane principe, ferito dalle sofferenze degli schiavi ebrei, li incita alla ribellione ed è così costretto alla fuga in Arabia. Qui sposa la figlia di un sacerdote e ne porta a spasso il gregge. Un giorno in mezzo al deserto vede un roveto ardente: è il Dio dei suoi padri che si manifesta: “Io sono colui che sono” , formula che allude al nome Yhwh. Dio promette di liberare il suo popolo e di condurlo nella terra promessa. Mosè dovrà portare la lieta novella ai suoi e chiedere al faraone di liberare gli ebrei, se non lo farà si scatenerà la sua ira. Al rifiuto del faraone, si verifica una specie di gara di magia tra Mosè e i sacerdoti: il bastone che si trasforma in serpente che divora i serpentelli creati dai sacerdoti, le acque del Nilo trasformate in sangue e infine le vere e proprie piaghe con cui Yhwh colpisce il faraone per ottenere a forza la liberazione di Israele. Rane, zanzare, mosche pestilenziali, grandine, tenebre, locuste. La decima piaga, l’uccisione del primogenito, non è riportata come le altre nove in veste di racconto, ma inserita come leggenda della fondazione nei precetti per la celebrazione della festa di Pesah.
Pesah riguarda la notte della partenza. Gli ebrei restano chiusi in casa e mangiano l’agnello sacrificale col cui sangue hanno segnato gli stipiti dello loro porte, per essere risparmiati dall’ira di Yhwh che uccide tutti i primogeniti d’Egitto – quella notte rappresenta la scena primigenia della festa di Pesah, che ancora gli ebrei celebrano nella notte di Seder e che fa da sotto testo alla Pasqua cristiana.
La festa è un segno del ricordo, uno ‘zikkaron’ o memoriale, che deve tener in vita il ricordo di questa rivelazione della potenza di Dio. I ‘segni ‘ che gli ebrei devono avvolgersi intorno alla fronte e far cadere tra gli occhi ( i tefillin ) ricordano di generazione in generazione la fuga dall’Egitto e sono insieme segni del legame con Dio e amuleti che proteggono colui che li porta. La cena di Pesah è il modello dell’ultima Cena cristiana.
Attraverso il perpetuarsi di questa memoria liturgica, si fa di un passato mitico, il nostro passato e si invita ogni persona a partecipare come fosse il suo passato.
I preparativi per la celebrazione devono essere così singolari da stupire i non iniziati e il bambino più piccolo deve porre la domanda che darà il via a una lunga serie di spiegazioni e racconti. “Perché questa notte è diversa da tutte le altre?”. E le risposte hanno il senso di un’iniziazione all’identità ebraica, che prende avvio dall’Esodo. E non si tratta di una vecchia storia. Passato non significa concluso. Violenza, persecuzione, oppressione sono anche quelli di oggi. Però in fondo c’è la salvezza. Questo il senso più che mai presente di raccontare l’Esodo e anche della sorprendente fedeltà e diffusione della celebrazione della festa di Pasqua.
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