Open, in viale Monte Nero a Milano, è molto di più di una libreria: è un vero e proprio ecosistema creativo e culturale
Nel 2002 Peter Gabriel cantava ‘So much more than this, there’s something else there and more than this, I stand feeling so connected’ mentre nel quartiere Bow, a Londra, l’italiano Sergio Dogliani rivoluzionava l’idea di biblioteca aprendo il primo Idea Store: vere e proprie biblioteche – con una ricca collezione di libri, CD, DVD e materiali online – che sono anche dei centri dove si può prendere il tè o pranzare; partecipare ad incontri con autori o a concerti; frequentare uno dei mille corsi per adulti e famiglie e così via.
Affascinato dall’idea, Giorgio Fipaldini, editore digitale di Tapook, decide di esportare il modello anglosassone a Milano ideando un nuovo concetto di libreria, più ampio, digitale e collaborativo. Con l’aiuto di Fabrizio Cosi (presidente di Podisti da Marte), Piergiorgio Mancone (avvocato) e Carla Parisi (account commerciale) inizia l’avventura di Open: un nuovo spazio aperto in Viale Monte Nero 6 nel novembre 2013. È una start up che, in parte, si è finanziata grazie al crowdfunding basato sulla formula di Eppela (dove per ogni donazione si riceve qualcosa in cambio, ottenendo, così più di trentamila euro) e, in parte grazie a sponsor privati, come RCS, che ha consigliato e fornito l’impianto iniziale con più di seimila titoli, e LAGO, che invece ha contribuito con l’arredamento di design, in cambio di quote societarie.
È nato così uno spazio che è diventato un vero e proprio ‘ecosistema creativo e culturale’, un luogo in cui si respira un’atmosfera tra la casa e l’ufficio, capace di accogliere tutti e di soddisfarne le richieste. Ora i soci sono venticinque, di cui alcuni presenti solo come finanziatori, altri come parte fondante, tanto da averne fatto il proprio lavoro.
Una di questi è Sarah Milazzo, responsabile del marketing, della comunicazione e degli eventi. È stata lei ad accogliermi a uno dei tavolini del bistrot, accanto alle grandi finestre che si affacciano sul viale alberato vicino Porta Romana. Mi ha spiegato come funziona l’intera struttura: a partire dal logo costituito da una O in cui è presente, lateralmente, una linguetta che simboleggia l’apertura all’esterno, allo spazio food, punto di aggregazione che accompagna tutte le attività (con i classici brunch domenicali ma spesso in compagnia di scrittori) e ai vari eventi e workshop realizzati negli spazi: dalle presentazioni di nuovi titoli a quelli a carattere musicale o più di business.
È un prodotto ibrido dove regna la contaminazione. E così è anche l’offerta editoriale, il catalogo non è vastissimo ma muta in continuazione. Si trova una buon assortimento di manuali di marketing, di case editrici indipendenti (oltre ai gruppi più grandi), di illustrati, di letteratura straniera. Molto fornita anche la sezione per bambini. L’idea è quella di proporre libri “open mind” che siano al passo con i tempi e forniscano una visione meno standardizzata delle cose, per educare al rispetto.
“Il rapporto con i distributori, essendo una libreria indipendente, è purtroppo molto delicato e per questo preferiamo, quando possibile, instaurare un rapporto diretto con gli editori. Anche se a volte i problemi permangono: capita che i più affermati non inviino nemmeno i libri per le presentazioni”.
Sono 1.000 metri quadri di superficie aperti al pubblico con 100 posti a sedere tra sedie, poltrone e divani e una terrazza di 150 metri quadri. La fa da padrone, al centro dello spazio, un tavolone lungo 20 metri su cui si può lavorare o leggere in compagnia (magari seduti sugli sgabelli affacciati sulle ampie vetrate che danno su viale Monte Nero).
Inoltre ci sono tre sale riunioni attrezzate con monitor e proiettori. Frequentato da giornalisti, scrittori, liberi professionisti, piace proprio perché ci si può lavorare, studiare, sfogliare un libro (che sia cartaceo o in digitale), fare una pausa, bere frullati o spizzicare torte. E poi perché è in centro e senza costi, o se ci sono, sono bassi: come gli abbonamenti che permettono di usufruire di alcuni ‘privilegi’ extra e di avere sconti su eventi, corsi, libri e cibo.
Con più di cinquemila iscritti, se si escludono gli studenti universitari, il target di punta è quello dei clienti tra i trenta e i quarantacinque anni. Pur restando aperti al pubblico, i creatori di Open hanno deciso di focalizzarsi sulle aziende (soprattutto per una questione economica), affittando gli spazi per eventi aziendali o presentazioni e fornendo corsi come quelli digitali o di scrittura creativa (sia organizzati dalla libreria stessa che appaltati a terzi).
La terrazza – sponsorizzata da LAGO, SONY e LEROY MERLIN – è stata inaugurata il 22 ottobre, ma non sarà sempre aperta al pubblico in quanto utilizzata anch’essa per eventuali iniziative, sempre di tema culturale.
Ogni compito, che sia legato alla parte grafica, a quella del cibo o libraria, viene svolto da persone competenti e specificatamente formate e che soprattutto sembrano farlo con passione. Come Silvia Ranzetti, la ‘libraia’ a cui Sarah delega l’incombenza di consigliarmi un libro perché lei finirebbe per scegliere qualcosa di “tecnico, magari qualche saggio di economia”. Me ne porta uno per ragazzi, di ultima uscita: George di Alex Gino, edito da Mondadori. Dopo avermi fatto notare il richiamo al fondatore di Open (il nome del protagonista è l’inglese di Giorgio e contiene la O, logo della libreria) mi spiega che è stato tradotto dallo stesso autore che, dopo vent’anni, ha avuto il “coraggio” di tradurre nuovamente, in versione aggiornata, Il giovane Holden di Salinger. “È la storia di un bambino di nove/dieci anni che si vede allo specchio come una ragazza e decide di chiamarsi Melissa, imparando pian piano a dare un nome ad ogni singola emozione. E insegna a noi a fare la stessa cosa. È davvero commovente e sono sicura che se ne parlerà molto, credimi”.
Di sottofondo c’è il vociare dei ragazzi che pensano a come modificare un compito, le pagine sfogliate di chi è seduto sui divani a leggere, il tintinnio dei cucchiaini poggiati accanto alle tazzine del caffè. E io penso a Gabriel che cantava ‘and more than this there’s something else there’ sembrandomi la descrizione più appropriata di questo luogo.
[qui le altre puntate della rubrica]