Dennis Stock, fotografo di Life (è il titolo del film) incontra la giovane star che sta per vivere una breve stagione di gloria. Divideranno sogni e nevrosi.
Un film bello. Non servono aggettivi troppo forbiti o complicati ragionamenti per commentare Life di Anton Corbjin, un’opera semplice, compiuta, affascinante e intelligente. Tanto semplice, che il produttore Iain Canning può spiegare il significato del film con una sola frase: “Uno degli aspetti che affascinavano Anton era l’idea di un fotografo e di un attore che fanno un viaggio insieme, che definirà l’iconografia di quell’attore”. E non di un attore qualunque: James Dean.
L’idea, di per sé non straordinariamente complessa, è però uno spunto abbastanza originale. Così risulta molto interessante seguire le dinamiche e le vicende, non prive di una loro logica, da cui nasce un’icona, un simbolo, per molti un eroe. Potremmo anche definirla l’agiografia di una stella del cinema, perché il film racconta lo star system hollywoodiano anni 50, che ha aspetti simili e diversi da quello odierno. Ma lo descrive da un punto di vista quasi defilato, sottile, inusuale: l’occhio con cui osserviamo questo mondo è quello del fotografo dei divi Dennis Stock, allo stesso tempo ingranaggio della macchina showbiz e spettatore esterno piuttosto critico.
E si tratta di un sistema con regole ferree, il cui andamento non prevede intoppi. La creazione di una star negli USA è un processo quasi automatico già da oltre mezzo secolo, ma James Dean rappresenta nel suo tempo appunto un intoppo in questi meccanismi; la purezza dell’enfant terrible Jimmy destabilizza l’ordine, l’efficienza di questo apparato. È un giovane genuino, che non cerca di nascondere vizi e difetti, anzi li mostra spavaldo, anche di fronte all’aggressività di Jack Warner, il potentissimo padrone-padrino dello Studio, interpretato da Ben Kingsley, come sempre, alla perfezione.
Ma la biografia dello spirito ribelle non si traduce nella solita parabola della star bella e maledetta, che finisce per uccidersi con le sue stesse mani. Life narra di un divo non ancora divo, un giovane attore insicuro ma non per forza eccessivo. Un ragazzo cresciuto senza i genitori nella più grigia provincia statunitense, talento tra i più puri nell’arte della recitazione. Un anticonformista, ma stavolta davvero. Vediamo un James Dean inedito, piuttosto schivo, con gli occhiali da vista nella maggior parte delle scene. E le più belle, nell’ultima parte del film, sono quelle in cui torna nella sua cittadina in Indiana, ritrovando la famiglia nella quale è cresciuto, per riconciliarsi col suo passato. E mentre legge sul divano di casa un libro di favole al nipotino che lo adora, apprezziamo una bella, davvero inconsueta immagine di quello che è sempre stato il divo ribelle per eccellenza.
C’è poi da complimentarsi per le due grandi interpretazioni attorali. Robert Pattison, per anni relegato nelle saghe vampiresche di Twilight, ma già sdoganato tre anni fa da David Cronenberg in Cosmopolis, si conferma qui con una brillantissima prova nei panni del fotografo. E davvero stupisce il quasi 30enne Dane DeHaan, che sboccia grazie a questo ruolo di divo, da cui traspare per intero la sua fortissima immedesimazione nel personaggio. In fondo entrambi i protagonisti del film sono giovani che vivono in conflitto con sé stessi, in una vita che sta loro stretta, divisi tra il desiderio di una carriera artistica brillante e il bisogno di dedicarsi agli affetti famigliari.
L’ultimo applauso va ad Anton Corbijn, che dirige un film elegante e pieno di spunti. Le sue intuizioni registiche vanno a braccetto con una precisione formale assai rara. Non c’è un’inquadratura che duri un secondo di troppo né uno stacco che sia troppo affrettato. In molti hanno parlato di James Dean sottolineando una vita segnata dalla tragedia, e ci si poteva aspettare un film così. Ma questa visione del divo dannato non passa, non ricade mai nel clichè. Si ferma prima, o forse va oltre.
Si sente tutto il legame personale del regista con queste vite: Corbijn, fotografo delle rockstar prima di dedicarsi al cinema, decide di narrare proprio la storia di un “collega” che spesso con scarso entusiasmo seguiva i divi di Hollywood. Inoltre, il servizio fotografico di Stock su cui ruota il film risale al 1955, anno di nascita di Corbijn, un’altra coincidenza significativa. E la qualità delle immagini del film rimanda allo spettatore un forte sapore di Life, la rivista che, grazie alle foto di Stock, incoronò Dean tra i grandi del cinema. Insomma è un film elegante e mite, com’era, in fin dei conti, l’icona James Dean al riparo dai riflettori.
Life di Anton Corbjin, con Dane DeHaan, Robert Pattison, Alessandra Mastronardi, Ben Kingsley