Lo Studio Museo Francesco Messina di Milano ospita “Aspettando l’ispirazione”, una mostra dell’artista H.H. Lim che offre interessanti spunti di riflessione sulla valenza simbolica dell’operare dell’artista, tra etica ed estetica.
È difficile, molto difficile categorizzare un artista come H.H. Lim. Cinese nato in Malesia e trapiantato da decenni a Roma, Lim, le cui H iniziali restano ancora per me un mistero, è un artista che da sempre condensa nel suo lavoro i poli magnetici dell’espressività, dalle performance più simboliche per asciuttezza concettuale – come l’esercizio ossessivo dell’hula hoop, i tentativi prolungati di equilibrio su un pallone da basket o l’atto estremo di inchiodarsi la lingua a un tavolo – ai registri più riflessivi, filosofici e lirici delle parole e delle immagini a rilievo negativo, dei metalli tagliati e incisi, delle carte arrotolate e dei disegni dallo stile a metà tra schema tecnico e dripping.
Esuberante e al contempo riflessivo, profondo e patafisico assieme, durante un incontro con il pubblico – in occasione di una mostra milanese di qualche tempo fa in cui Lim proponeva uno spazio colmo di iene serafiche e personaggi tv – una lunga riflessione sul colore dell’Universo si concluse con un “Perché blu? Blu!”. Un aforisma che, per onomatopea e surrealismo intrinseco, è diventata un intercalare oltre che un’epifania per gli spettatori presenti. Lucida intelligenza, spirito provocatorio e spiritualità zen producono in H.H. Lim una fusione che, a partire dalla sua irresistibile pronuncia cino-romanesca, crea un melting pot del tutto personale, debordante e straordinario.
Al Museo Messina di Milano – chiesa sconsacrata e tempio celebrativo del suo antico occupante, quel Francesco Messina del cavallo della Rai e di tante ignude donzelle di ogni forma e dimensione – H.H. accetta la sfida di intrufolarsi tra le reliquie scultoree altrui con un’intenzione assolutamente brillante e, al tempo stesso, protettiva rispetto al peso di quelle presenze, allestendo non una mostra bensì, per giocare ad armi pari, una ricostruzione del suo studio all’interno dello studio di quel convitato di pietra così impegnativo.
Lim si destreggia con agilità nello spazio, costruisce aree di sovrapposizione di oggetti, cornici, ramazze, disegni e progetti di molti suoi lavori che appoggia su grandi pannelli con incise frasi lapidarie, allusive e mai davvero concluse, come cubitali e concavi (mi perdonerà lo sconfinamento) Haiku giapponesi. Dalle lettere mischiate alle metalliche sedute narranti di vecchie sedie fino al verso formulare che regge la mostra intera e le da il titolo: “Aspettando l’ispirazione con gesso alabastrino e rasante”, tutta la costruzione installativa di H.H. Lim è un’esplosione di simboli e analogie che rimbalzano da un oggetto all’altro, tra una parola e una frase, tra un oro calpestabile e un osso alla catena.
Non sono quindi le opere o il dialogo tra esse, e neppure il calembour visivo dello studio nello studio, il vero soggetto dell’intervento di Lim nello studio di Messina, bensì proprio quello alluso da quella frase incisa. Il centro reale della mostra coincide infatti con il punto di contatto più forte che possa esserci tra i due artisti, intesi come esseri pensanti e creatori di forme estetiche: l’attesa. Quell’attesa dichiarata, l’attesa dell’ispirazione così come l’attesa dei tempi tecnici del lavoro di artista e dei suoi materiali, siano essi gesso, colori, creta o qualsiasi altro. Il lavoro dell’artista è fatto di slanci, idee fulminanti ma anche, inesorabilmente, di pazienza e attesa, e la complessa macchina messa in piedi da H.H. Lim racconta proprio quest’attesa, trasportandola spiritualmente in una dimensione alta e altra, intima ma assolutamente monumentale. Un monumento all’attesa e alla vita che, ancora una volta, è prima di tutto un insegnamento etico prima che estetico.
H.H. Lim, Aspettando l’ispirazione, a cura di Sabino Maria Frassà per il progetto Cramum della Fondazione Giorgio Pardi, Studio Museo Francesco Messina, via San Sisto 4/A, Milano, fino all’11 dicembre 2016.
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