I belgi Raphaël Balboni e Ann Sirot, pare anche sulla base di elementi autobiografici, raccontano la reazione degli umani di fronte alle imprevedibili svolte della vita. I due protagonisti vogliono diventare genitori e, come sempre, hanno pianificato scrupolosamente anche questo evento. Ma devono affrontare l’improvvisa patologia neurodegenerativa della madre di lui, che sconvolge la loro vita e i piani futuri. Rivelando anche più di un lato oscuro della relazione e della loro emotività
Alex e Noémie desiderano un figlio, lo cercano, lo pianificano, con la sicurezza un po’ ottusa dell’avere trent’anni e non riuscire neanche a immaginare che la vita possa andare in modo diverso da come tu hai deciso. Ma la vita è quello che ti succede mentre sei tutto preso dal fare altri piani (“Life is what happens to you while you’re busy making other plans”, cantava John Lennon). E così Alex e Noémie si ritrovano alle prese con qualcosa che non avevano assolutamente previsto e che rischia di mandare a monte tutti i loro progetti: la madre di Alex, Suzanne, una 70enne colta e dinamica, comincia d’improvviso a comportarsi in modo strano. Inizialmente sembra solo un po’ svampita – non riconosce oggetti di uso quotidiano, si confonde usando le carte di credito – ma ben presto la situazione si rivela molto più preoccupante.
Suzanne soffre di una patologia neurodegenerativa, una forma di demenza destinata ad aggravarsi in modo repentino e irreversibile. Una scoperta drammatica che mette a durissima prova l’equilibrio sul quale si reggeva il rapporto tra Alex e Noémie, una coppia che si pensava solida e rischia ora di andare in frantumi davanti all’imprevisto, perché troppo legata a un’idea di perfezione e controllo destinata a schiantarsi al primo ostacolo. Un concetto non a caso rappresentato fin da subito da quel motivo floreale che, a partire dalle raffinate lenzuola regalate da Suzanne, invade poco a poco l’intera camera da letto di Alex e Noémie, trasformandola in una tana sempre più claustrofobica e mortifera.
Pare che all’origine di questo La folle vita ci sia un’esperienza personale, vissuta dai belgi Raphaël Balboni e Ann Sirot, che firmano a quattro mani regia e sceneggiatura, realizzando un film complesso, malinconico, ironico, intelligente. Un’opera prima sorprendente per sensibilità e acutezza, che riesce a raccontare come la malattia possa trasformare in modo radicale una persona, fino a renderla irriconoscibile, e di come anche l’amore più profondo possa a volte rivelarsi insufficiente ad affrontare prove davvero difficili.
Trovarsi a dover fare da genitori ai propri genitori è un’esperienza che può rivelarsi devastante, da tutti i punti di vista, e in questo film niente viene edulcorato. Le paure, gli imbarazzi, la pura e semplice esasperazione, i moti di rabbia, persino il risentimento, sono mostrati in tutta la loro perturbante forza distruttiva. Tuttavia, dalla sala non si esce disperati. Anzi. Si riemerge con qualche domanda in più su noi stessi e qualche convinzione in meno riguardo alle nostre presunte certezze, soprattutto quando si tratta di definire quale sia la risposta più adeguata in una determinata situazione. In realtà, dovremmo forse rassegnarci semplicemente all’idea che non esistono momenti perfetti, che ogni tentativo di tenere sotto controllo la nostra vita e il mondo che ci circonda è destinato a inevitabile fallimento. E intanto capire che è proprio nei fallimenti – in certi fallimenti, almeno – che sboccia la vita.
La folle vita, di Raphaël Balboni e Ann Sirot, con Jo Deseure, Jean Le Peltier, Lucie Debay, Gilles Remiche, Vincent Lécuyer