“Dio è donna e si chiama Petrunya” della macedone Teona Strugar Mitevska è un racconto semplice, universale. In cui si parla dei giovani senza lavoro, che vivono in casa coi genitori fino a trent’anni. E della donna, troppo spesso fatta oggetto di avances sessuali in cambio della promessa di un impiego
Dio è donna e si chiama Petrunya di Teona Strugar Mitevska si svolge in Macedonia, più precisamente nella città di Štip. Lei, Petrunya, è una donna molto interessante, almeno dal punto di vista sociologico, perché rappresenta quel modello di giovane attuale che vive ovunque nel mondo. Un vero e proprio stereotipo vivente: arrivata quasi ai trent’anni, laureata in Storia (con focus sulla Rivoluzione Cinese, che adora), vive ancora con i genitori. Insomma, non ha un lavoro. Una storia che si potrebbe ambientare in molti paesi, ma il fatto che avvenga in Macedonia cambia gran parte del suo significato.
Il perché ce lo spiega un gesto che compie Petrunya quasi all’inizio del film. Ma prima di raccontarlo, va fatta una premessa: nonostante lo stereotipo di cui sopra, lei non rappresenta lo standard delle donne macedoni. Al contrario, è paffutella e solitamente mal combinata. Ma durante il suo primo colloquio di lavoro dopo mesi di attesa, vestita di tutto punto e truccata, riceve delle avances sessuali: anche se poi finisce per sentirsi dire che è brutta e non ne vale la pena. Ma nè per quelle, nè per il lavoro, diventerà famosa, importante, rivoluzionaria (come la sua amata Cina).
Il gesto che compie la donna, infatti, è a dir poco esemplare: si getta nel fiume assieme ad altri uomini per recuperare una croce di Cristo lanciata dal prete in un rito tradizionale. E la prende. Peccato, però, che alle donne non sia permesso partecipare all’annuale impresa. Così la sua “vittoria” porta scompiglio, discordia, violenza dei maschi, diventa un caso nazionale (è successo veramente nel 2014). Da questo episodio si sviluppano gli eventi del film e la vita di Petrunya stessa, che cambierà per sempre. Grazie a una rappresentante di una televisione locale, lei riesce a tirar fuori il suo carattere prima nascosto dietro una maschera di auto-disapprovazione, cercando di difendere i propri diritti, le sue idee. E il fatto stesso di aver raccolto la croce dall’acqua non cambia solo la sua di esistenza, ma anche quella dei genitori, che vengono letteralmente travolti dall’avvenimento.
La storia di Petrunya è molto interessante, soprattutto perché la croce può essere collegata, tralasciando per un momento la correlazione con gli eventi reali ad essa legati, ai problemi dei giovani di oggi. Quel che vive lei al colloquio di lavoro, in cui il capo pensa solo a guardarle le gambe, succede ogni giorno, ogni ora, in tanti, troppi meeting che avvengono nel mondo. Non solo: anche il fatto che debba vivere ancora coi genitori alla soglia dei trent’anni non è affar semplice. Che succede nella testa di un giovane che vive questa situazione, in particolare se donna?
Petrunya impersona tutto questo molto bene, ed è chiaro che si lancia nell’acqua consapevole del fatto che le è vietato dalla sua religione ortodossa tradizionalista. La sua è una rivoluzione che parte dall’interno ma colpisce anche l’esterno, brutalmente. Va a scontrarsi contro ogni sistema predefinito in cui vive quotidianamente, infrangendo barriere che prima sembravano invalicabili. Nel farlo, però, corre dei forti rischi, perché potrebbe non trovare mai più lavoro o rispetto tra i suoi pari.
Unica pecca del film sono i colori un po’ piatti e fin troppo lineari, uguali a se stessi, e la recitazione a sua volta un po’ troppo uniforme, con pochi accenti. Resta comunque un film da vedere assolutamente.
Dio è donna e si chiama Petrunya di Teona Strugar Mitevska con Zorica Nusheva, Labina Mitevska, Simeon Moni Damevski, Suad Begovski, Stefan Vujisic