Secondo appuntamento con la rubrica “Scoprendo Milano”: ogni mese, la storia di un luogo, della sua evoluzione architettonica, del suo ruolo nelle trasformazioni della città. In vista delle ferie, l’aeroporto più amato dai milanesi: Linate
Mentre Gianni Caproni sviluppava i suoi biplani a Malpensa, Enrico Forlanini testava il primo aliscafo e rivoluzionava il mondo dei dirigibili. Gli aerostati di Forlanini, meno fortunati degli Zeppelin, si differenziavano da questi per la struttura “semirigida” e furono fondamentali per la breve parabola delle aeronavi italiane, ispirando tra gli altri i dirigibili di Pietro Nobile. La sua pionieristica carriera nel mondo dell’aviazione gli valse la dedica del nuovo aeroporto cittadino, un progetto ambizioso e strategico, realizzato a pochi chilometri dagli hangar di Crescenzago, dove Forlanini aveva le sue officine.
La storia di Linate è fatta di alti e bassi e l’apertura al traffico civile di Malpensa prima e Orio al Serio poi ha aumentato notevolmente l’accessibilità al traffico aereo della regione, infiammando periodiche polemiche su quale scalo debba avere il primato sugli altri. Se oggi non è in discussione la supremazia commerciale di Malpensa, altrettanto netto sembra il primato “affettivo” di Linate nel cuore dei Milanesi. Il motivo di questa simpatia non sta solo nella prossimità geografica ma anche e soprattutto negli ottant’anni di storia condivisa, durante i quali l’aeroporto è stato, come spesso accade, lo specchio delle ambizioni e della vanità di una città.
Riavvolgiamo dunque il nastro agli anni venti del secolo scorso per ripercorre le tappe principali di questa storia.
Negli anni tra le due guerre, Milano e la Brianza sono state un terreno fertile per la sperimentazione nel settore dei trasporti. La grande “Y” di asfalto dell’Autostrada dei Laghi, inaugurata nel 1924, è considerata la prima autostrada del mondo, così come il contemporaneo autodromo di Monza è una primizia nell’ambito dei circuiti automobilistici. Di qualche anno più tardi è l’idea altrettanto ambiziosa di dotare Milano di un idroscalo: gli scavi iniziano nel 1928. Di fronte a un progetto di questa portata, l’aeroporto di Taliedo risultò presto obsoleto e fu su proposta di Italo Balbo, allora ministro dell’aviazione, che un nuovo aeroporto per velivoli terrestri fu affiancato alla pista d’acqua per gli idrovolanti.
Lo scalo sarebbe stato tra i più moderni e grandi d’Europa. La superficie dell’aeroporto, infatti, triplicava quella di Taliedo. L’area dell’intervento, compresa tra i comuni di Linate, Segrate e Milano, era ancora completamente agricola e bastò demolire poche cascine per fare spazio alla nuova “città aviatoria”. Tuttavia, per preparare il terreno agricolo all’atterraggio degli aerei si resero necessarie complesse opere di drenaggio, vennero movimentati mezzo milione di metri cubi di terra mentre sei chilometri di nuove strade garantirono il raccordo con il viale Forlanini. I lavori di costruzione iniziarono nel giugno 1933 e furono condotti dall’Aeronautica Militare, che si occupò della preparazione del terreno e dell’infrastruttura aeroportuale mentre il comune di Milano fu responsabile della realizzazione della nuova aerostazione.
Il concorso per lo stabile viaggiatori risale al 1934, quando il bolognese Gianluigi Giordani si aggiudicò la commessa con un edificio razionalista articolato su due livelli, capace di servire contemporaneamente l’idroscalo e l’aeroporto. L’edificio fu pensato in termini moderni, poteva operare anche di notte e ospitava un discreto numero di servizi tra cui la biglietteria, un’edicola, un ufficio postale, un bar-ristorante e un albergo. Allo stato attuale, la stazione di Giordani è stata abbattuta solo in parte. Gli spazi pensati per i viaggiatori, però, oggi svolgono altre funzioni e non sono più accessibili al pubblico.
Al momento della sua inaugurazione, nell’ottobre del 1937, lo scalo di Linate consentiva l’atterraggio di tutti i tipi di aeromobili in servizio. In questo modo Milano fu collegata con le principali capitali europee e mediterranee, consolidando la sua posizione centrale nel sistema aeroportuale italiano.
Con la seconda guerra mondiale, però, l’idrovolante, fino ad allora privilegiato sulle lunghe tratte è reso obsoleto dal generale miglioramento delle strutture aeroportuali che incentivò lo sviluppo di aeromobili terrestri di grandi dimensioni. Già al momento dell’apertura dell’aeroporto, infatti, l’Idroscalo aveva dimostrato un’altra vocazione: quella sportiva, ospitando i campionati europei di canottaggio nel ‘34 e nel ‘38, anno in cui una grande tribuna apparve accanto allo specchio d’acqua.
La natura anfibia dello scalo di Linate si rivelò ben presto superflua e ad appena due anni dalla realizzazione lo scoppio del conflitto comportò la militarizzazione di tutto il complesso.
A partire dal ‘47 i voli civili ripresero gradualmente, con un primo collegamento Milano-Roma. La pista era stata frettolosamente allungata da 600 a 900 metri per permettere l’atterraggio dei nuovi aeromobili, tuttavia fu presto chiaro che anche questo potenziamento non sarebbe bastato. L’anno successivo, infatti, l’aeroporto militare di Malpensa fu aperto al traffico civile: lo scalo varesotto poteva contare su una pista lunga il doppio di quella del Forlanini e divenne così il primo aeroporto intercontinentale d’Italia. Tuttavia, i servizi spartani di Malpensa e lo scarso sfruttamento dell’aeroporto cittadino convinsero le autorità dell’urgenza di un completo ripensamento delle infrastrutture aeroportuali milanesi.
Alla fine degli anni ‘50, entrambi gli scali furono finalmente potenziati: Malpensa fu dotata della seconda pista e quella del Forlanini fu messa al passo con i tempi, raggiungendo sostanzialmente le proporzioni attuali. L’architetto Vittorio Gandolfi, già autore di una chiesa all’idroscalo e del “Pirellino” di via Gioia, fu incaricato della progettazione delle nuove aerostazioni. Il primo intervento, a Malpensa (1956-58), coincide con l’attuale terminal 2, mentre il secondo (1960-62) con parte dell’area check-in e del controllo passaporti dell’odierna stazione di Linate.
Ai tempi di Gianluigi Giordani, progettare un aeroporto non differiva molto dal disegnare una stazione di autobus ma negli anni ‘60 Gandolfi si trovò a fare i conti con le esigenze di un’aviazione completamente diversa. Il nuovo Forlanini fu dotato di un parcheggio per 800 automobili e un sistema di percorsi su più livelli fu predisposto per smaltire nel modo più efficiente grandi flussi di viaggiatori. In particolare, Gandolfi concepì un percorso differenziato per i viaggiatori delle tratte nazionali e internazionali, con un ingresso al piano terra per i primi e al piano rialzato per i secondi. Una terrazza al secondo piano era aperta a tutti e poteva essere raggiunta attraverso un sistema di rampe.
La nuova aerostazione fu inoltre dotata, per la prima volta, di nastri trasportatori per i bagagli, di negozi duty-free e di appositi “box” per i controlli doganali. La trasparenza della struttura, in acciaio e vetro, doveva favorire l’orientamento e gli elementi strutturali metallici, come ossa cave, permettevano di integrare al loro interno ciò che Gandolfi definisce “il midollo” tecnico dell’edificio, con il risultato di un’estrema pulizia e semplicità nel linguaggio architettonico.
Anche il progetto di Gandolfi è oggi difficilmente riconoscibile: a partire dal 1967 una serie di modifiche hanno stravolto l’impianto originale. Nuove normative in materia di sicurezza e un crescente traffico di passeggeri hanno reso necessarie modifiche sostanziali che hanno comportato, tra le varie cose, la sparizione alla vista degli elementi strutturali. “Il midollo” di cui parla Gandolfi, infatti, si limitava essenzialmente a cavi elettrici e telefonici; l’integrazione di sistemi di areazione e antincendio ha richiesto la creazione di cavità apposite, che hanno completamente ridefinito gli spazi. Nel processo di ammodernamento, anche le terrazze aperte sul piazzale degli aerei sono state definitivamente chiuse.
L’ultima grande trasformazione risale agli anni 1991-1993, quando Aldo Rossi coordinò un importante intervento di ampliamento, che ha portato l’aeroporto alla configurazione attuale. L’architetto non voleva trasformare l’aerostazione in una generica teca di vetro ma si impegnò a restituirgli un’articolazione più domestica: dal piazzale degli aeromobili, infatti, il ritmo verticale dei pilastri scandisce le vetrate a loro volta frammentate dalla griglia sgargiante dei serramenti. Questo disegno restituisce all’aeroporto la scala umana, pure nella grande dimensione tipica di questo genere di infrastruttura. “L’impostazione delle facciate principali” scrive l’architetto “è necessariamente di vetro, ma dove il vetro diventa finestra della casa o del laboratorio.”
Forse è proprio per la sua aria sobria e un po’ industriale che il Forlanini è tanto amato dai milanesi. Ancora oggi, dopo l’atterraggio, la facciata verde e grigia dell’aeroporto ci fa sentire a casa e ci ricorda le vetrate delle officine dove prese forma la favola dei dirigibili e degli idrovolanti.
Immagine di copertina: l’edificio di Giordani visto dal piazzale degli aeroplani