E a dimostrare questo semplice assunto, espresso dal compositore Ildebrando Pizzetti nel lontano 1908, ci prova NoMus con un interessantissimo ciclo di concerti di lirica del secolo scorso. Al Museo del Novecento
La lirica da camera italiana del Novecento è un territorio musicale ancora poco noto, esplorato solo da pochi avventurieri che, sfidando spesso indifferenza e diffidenza, propongono un repertorio quanto mai variegato e affascinante, che meriterebbe ben altra divulgazione rispetto a quella di cui gode.
Tentano l’impresa in questi giorni gli avventurieri dell’associazione NoMus (in primis la presidente Maddalena Novati), in collaborazione con il Conservatorio di Milano, che, grazie al sostegno della Fondazione Araldi Guinetti, hanno organizzato al Museo del Novecento un ciclo di quattro concerti (6, 13, 20, 27 maggio, ore 17.30) dal titolo, appunto, Lirica da camera italiana. Gli interpreti sono gli allievi di un Master biennale di secondo livello del Conservatorio di Milano in Repertorio vocale italiano tra Otto e Novecento: giovani talentuosi professionisti che, guidati da un team di docenti del Conservatorio di Milano, hanno deciso di specializzarsi in questo repertorio.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo innanzitutto di capire brevemente di cosa parliamo esattamente quando diciamo lirica da camera italiana. Come ha ben spiegato Guido Salvetti (docente del Master sul versante musicologico) nelle efficaci guide ai concerti, non si tratta di un genere omogeneo, ma di un’ampia costellazione in cui trovano posto autori anche molto distanti fra loro, ma accomunati da un’ideale tensione a mettere in musica testi poeticamente di alto valore.
Un anno importante per il nostro discorso è il 1908. In quest’anno, infatti, il giovane Ildebrando Pizzetti scrive un articolo dal titolo I versi per musica in cui, partendo da un’analisi della romanza da salotto, ormai stereotipata e nel testo poetico e nella musica, esprimeva la necessità di mettere in musica «vera poesia», al pari di quanto già accadeva in Francia (e Germania); così scriveva il musicista di Parma:
«mentre i musicisti francesi si ispirano oggi, per comporre le loro liriche, alle opere di poeti come Baudelaire (i Cinq Poèms di Claude Debussy), Verlaine (La Bonne Chanson di Gabriel Fauré) e Henry de Regnier (le due serie di Poèmes lyrique di Albert Roussel), i musicisti italiani (pochissimo eccettuati), quando vogliono scrivere delle romanze, scelgono fra tutte le poesie che hanno sott’occhio le più insulse e le più sciocche, o, per averle come essi le desiderano, se le fanno scrivere apposta da qualche amico compiacente, raccomandandogli solamente che i versi siano brevi e disposti in strofette simmetriche, e che ci sia del sentimento (intendi sentimentalismo)».
Secondo Pizzetti e i musicisti a lui contemporanei bisognava, dunque, musicare vera poesia, fatto che spaventava molto i compositori, perché «dinanzi a un testo poetico veramente bello essi si sentono quasi intimoriti, sentono confusamente che bisognerebbe svolgere le loro melodie seguendo lo svolgimento della poesia». Quest’ultima osservazione è decisiva per comprendere la lirica da camera: è, infatti, nel rapporto che il compositore instaura con il testo che nasce la forma musicale, intesa come tentativo di creare con la musica una sorta di simbolo sonoro della poesia stessa.
Sempre nel 1908 ancora Pizzetti passa dalle parole ai fatti e scrive quello che può essere considerato il primo capolavoro del genere: la lirica I pastori, sulla poesia di Gabriele d’Annunzio tratta da Alcyone.
Pizzetti, dunque, apre la strada, anche se il suo può essere considerato non solo un punto di partenza, ma anche un approdo di un percorso musicale che lentamente ha investito il canto vocale da camera tra i due secoli e che poi si è dipanato nel Novecento seguendo numerose strade.
E i quattro incontri-concerto di Nomus ripercorrono bene le principali strade intraprese dalla lirica da camera italiana novecentesca, andando ad abbracciare sia la forma più diffusa del canto e piano che quella per voce ed ensemble strumentali di vario tipo.
Nel primo concerto (6 maggio, Fonti popolari e poeti colti) è stato messo a tema il rapporto dei compositori con la poesia popolare e popolareggiante, mentre nel secondo concerto (13 maggio, I diversi volti della prima avanguardia musicale) sono stati protagonisti i compositori della cosiddetta generazione dell’Ottanta.
Il percorso proseguirà il 20 maggio (Candore e malizia nonostante Darmstadt) con l’esecuzione di alcuni brani fondamentali del secondo Novecento di Castiglioni (Cantus Planus, prima serie) e Berio (Quattro Canzoni popolari, 11 Folk Songs) per concludersi il 27 maggio (Commedia e tragedia) con un concerto che vuole unire il carattere più serio a quello più leggero e delicato di questo repertorio, con brani di Ghedini (Canti del Boiardo), Castelnuovo-Tedesco (Heine Lieder), Dallapiccola (Quattro liriche di Antonio Machado) e Rota (Tre liriche infantili).
Noi abbiamo potuto assistere al secondo dei quattro concerti, che ha visto protagonisti Marianna Mappa (soprano), Hsia Pei Ku (soprano), Maria Silvana Pavan (pianoforte), Giuliano Guidone (pianoforte).
Sono stati eseguiti in apertura quattro dei sei Sonetti delle fate, scritti da Gian Francesco Malipiero su testi di d’Annunzio nel 1909; la scrittura sperimentale di Malipiero (sia per la voce che per il pianoforte) ci conduce in un mondo veramente incantato, dove ogni nota è pesata in rapporto alle parole preziose ed evanescenti di d’Annunzio.
A seguire la già citata I pastori di Pizzetti-d’Annunzio, alla quale sono seguite due liriche del giovane Goffredo Petrassi (I colori del tempo) su due poesie (Autunno, Un mattino) di un grande poeta “minore” del Novecento, Vincenzo Cardarelli. In questo caso al doloroso candore del poeta Petrassi ha associato un’intonazione distaccata, dove la parola domina quasi aspra nella sua essenza.
Una partecipazione certamente più coinvolta è quella dei Tre sonetti del Petrarca, ancora di Pizzetti, che nel 1922 scelse di musicare queste tre liriche tratte dalla seconda parte del Canzoniere, poco dopo la morte della moglie Maria Stradivari. In tutt’altra atmosfera sono immerse le ultime liriche ascoltate, le Tre canzoni trecentesche di Alfredo Casella: qui il compositore gioca con dei versi che, nella loro (finta) ingenuità popolare, gli offrono lo spunto per una musica che strizza l’occhio a motivi da stornello dentro un abito modernissimo.
Di alto livello l’esecuzione degli interpreti, che hanno saputo rendere nella voce e nel pianoforte le varie sfumature che queste liriche esigono a ogni verso e a ogni frase musicale. Il segreto è molto semplice, come ci ha detto Stelia Doz (docente del Master per quanto riguarda la prassi esecutiva) ed è l’attenzione al testo poetico. Semplice ma non facile, naturalmente, eppure assolutamente in linea con quanto Pizzetti affermava cento anni fa: seguire «lo svolgimento della poesia», segreto non solo della composizione di queste liriche, quindi, ma anche della loro esecuzione.
Nomus – Lirica da camera italiana – Museo del Novecento 6, 13, 20, 27 maggio, ore 17.30