Il delicato, toccante, luminoso “Little Sister” di Hirokazu Kore-Eda richiede un giusto tempo: per apprezzare le ottime interpreti e la ricchezza dei temi
A volte ci sono scene che riassumono in sé il significato di un intero film. E la delicatezza di Little Sister, già in concorso a Cannes, è tutta in una sequenza: quella della giovanissima Suzu, la “sorellina” del titolo, che sul portapacchi di una bicicletta attraversa un viale di ciliegi in fiore, sente il calore del sole sul viso e sorride come mai era riuscita a fare prima.
L’ultima fatica del maestro giapponese Hirokazu Kore-Eda (Like Father, Like Son – Premio della Giuria 2013 sulla Croisette) è quello che in inglese si definirebbe “soromance”, e cioè un racconto dell’amore tra sorelle: anzi, in questo caso sorellastre. Sachi, Yoshino e Chika abitano insieme nella vecchia casa della nonna nella storica cittadina di Kamakura, a un’ora da Tokyo. Quando ricevono la notizia della morte del padre, che le aveva lasciate anni prima e si era risposato due volte, vanno al suo funerale e conoscono l’adolescente Suzu (Suzu Hirose), figlia della seconda moglie del papà, scomparsa da anni. E, subito conquistate dalla timida orfana, decidono di invitarla a vivere con loro.
Un dramma familiare in stile giapponese classico ma non troppo, toccante eppure non sentimentale, girato meravigliosamente e interpretato con grazia e naturalezza. Rispetto al manga Umimachi Diary di Akimi Yoshida – da cui il film è tratto – che racconta il punto di vista della nuova arrivata, la prospettiva qui è quella di Sachi (Haruka Ayase) infermiera ma soprattutto severissima “madre in pectore” di Yoshino (Masami Nagasawa), la sorella modaiola e disperatamente alla ricerca dell’uomo giusto, e Chika (Kaho), quella stramba e ancora un po’ bambina.
Mentre le ragazze trascorrono le loro giornate tra lavoro, scuola e momenti privati, il tempo è scandito dalle onde dell’oceano, dal susseguirsi delle stagioni – ci sono alcune scene autunnali davvero incantevoli – e dalle tradizioni di famiglia, come il liquore alle prugne fatto con i frutti del vecchio albero nel giardino di casa: un ricordo da custodire gelosamente e un simbolo da rinnovare ogni anno.
Certo, bisogna dirlo: chi non è abituato a questo tipo di ritmo potrebbe annoiarsi un po’, vista la quasi totale mancanza di svolte nella narrazione: il primo vero conflitto arriva oltre la metà del racconto, quando entra in scena la madre delle tre ragazze. Ma la pellicola, oltre la sensibilità di Kore-Eda dietro la macchina da presa, l’essenzialità delle attrici nel caratterizzare le protagoniste e la luminosità dei paesaggi, è anche molto altro: una riflessione sull’assenza, sulla morte e sull’accettazione del cambiamento. Che a volte si realizza in un’ubriacatura da liquore alla prugne.
Ci sono film per cui bisogna prendersi il tempo e avere la giusta predisposizione: Little Sister è uno di questi. Se vi mettete in ascolto vi riempirà gli occhi e scalderà il cuore. Come la fioritura dei ciliegi.
Little Sister, di Hirokazu Kore-Eda con Suzu Hirose, Haruka Ayase, Masami Nagasawa, Kaho