Fino all’11 febbraio 2024 è possibile visitare a Palazzo Reale di Milano la mostra El Greco dedicata al grande pittore cretese del Sedicesimo Secolo, promossa dal Comune di Milano Cultura con il patrocinio dell’Ambasciata di Spagna in Italia, a cura di Juan Antonio García Castro, Palma Martínez – Burgos García e Thomas Clement Salomon, con il coordinamento scientifico di Mila Ortiz. Filippo Robboni l’ha visitata per Cultweek alla ricerca di corsi e ricorsi nell’invenzione del Maestro.
Dopo il consenso ricevuto tra i suoi contemporanei, l’opera di Doménikos Theotokópoulos (Candia, 1541 – Toledo, 1614) conosce un lungo periodo di oblio e di critiche negative. Solo una rivalutazione che parte dalla metà dell’ottocento e arriva ai giorni nostri restituisce al pittore la meritata importanza nel discorso artistico occidentale. Da Baudelaire a Manet, da Picasso a Pollock, è soprattutto grazie ad artisti e intellettuali che la fama di El Greco viene ripristinata. La mostra in corso a Palazzo Reale conferma il rinnovato interesse. Il percorso espositivo introduce un raffronto coi modelli culturali incontrati dall’artista al suo arrivo da Creta in Italia. Tra i tanti linguaggi assimilati e presto portati al parossismo, si individuano le atmosfere tenebrose del Bassano, l’inquietudine dell’ultimo Tiziano, le lumeggiature filamentose di Tintoretto, le figure oblunghe e deliranti dei disegni di Parmigianino e Meldolla.
Ma è tracciando un arco tra le creazioni del pittore cretese ed esperienze artistiche a noi più vicine, che le affinità si fanno sconcertanti. Il realismo paradossale di Cézanne, le disperate deformazioni delle avanguardie, i grandi campi cromatici dell’espressionismo astratto sono elementi contestualmente già presenti nello stile grechiano. Queste incredibili assonanze, al contempo, rafforzano il senso di continuità e mettono in crisi una concezione di progressione lineare della storia, individuando nell’invenzione formale la vera costante dell’arte di tutti i tempi.
A dedurre il successo ottenuto in vita da El Greco basta la conta delle commissioni realizzate, ma la radicalità delle sue soluzioni ha suscitato una certa diffidenza nell’ambiente artistico ufficiale dei tempi. Da Creta a Venezia, da Roma alla Corte di Spagna, il Maestro insegue la consacrazione artistica e la libertà espressiva. A Toledo, ultima delle tappe, in un contesto periferico rispetto all’epicentro culturale dell’epoca e più al riparo dalle radiazioni dei giganti italiani, il suo stile visionario viene definitivamente messo a punto. Un linguaggio smaccatamente fittizio e distaccato dalla rappresentazione illusoria.
La pittura di El Greco è una pittura tra le dimensioni, che prospera in uno spazio alternativo ricavato tra le concezioni bizantine e manieriste. Uno spazio inedito in cui coesistono astrazione e sensualità, soggetto narrativo e consapevolezza dell’arte come soggetto.
Nelle opere della maturità l’effetto di realtà non è mai presente e non si ravvisa nessuna dissimulazione del supporto materiale. La profondità è abolita a favore di repentini cambi di scala e di una moltitudine di componenti che talvolta affollano l’area pittorica per intero. Gli elementi in primo piano e quelli più lontani sono trattati con pari intensità, ignorando ogni gerarchia tra figura e sfondo.
Theotokópoulos, disinteressato alla riproduzione mimetica delle apparenze del mondo, non ha bisogno di ricorrere alla copia di referenti naturali, perché la sua è una rappresentazione fatta a mente. I corpi, la cui coerenza anatomica è a malapena mantenuta, sono allungati e deformati, scultorei e carnali, di una sostanza ibrida che solo la pittura può evocare. Le figure occupano la superficie della tela obbedendo ad interne necessità compositive e risultano percepibili come forme, appena prima che come raffigurazioni. I contorni delle membra sono definiti da linee sinuose e ritmiche, composte da curve alternate, da pennellate scure e veloci che scavano in uno spazio impossibile, quasi fossero i solchi di un bassorilievo. Le mani, sfilacciate e dardeggianti, indicano le tante direzioni che lo sguardo è costretto a seguire. I panneggi poi, ottenuti attraverso campiture larghe e spezzate, forniscono il pretesto perfetto per un uso sfrontato del colore. Le vesti rinunciano alla loro funzione e si tramutano in elementi pittorici monumentali e indipendenti, che contendono lo spazio del quadro coi loro cromatismi metallici.
Tra le creazioni più impressionanti presenti in mostra c’è il “San Martino e il mendicante”. Qui, l’immane stesura di bianco che descrive il manto del cavallo è la vera fonte di luce del quadro e addirittura della sala espositiva che lo accoglie. Il bagliore del pelo dell’animale è esaltato dalle strisce nere dei finimenti che lo incrociano e che imbrigliano gli occhi di chi guarda. L’inquadratura è ravvicinata e le coordinate spaziotemporali annullate. Il cielo è paradossalmente azzurro e plumbeo, drappeggiato da nuvole di gesso. La città di Toledo è uno sfuggente diorama metafisico, intravisto tra la sequenza di gambe animali e umane che cadenzano e sorreggono la composizione. Il santo e il mendicante si concatenano nella reciprocità dei gesti e degli sguardi. Ed è proprio nell’espressività dei volti, allucinati o estatici, protagonisti dell’ultima parte dell’esposizione, che il torrente di materia pittorica sembra placarsi. La pennellata febbrile e significante si coagula e rallenta, favorendo l’accesso ad un livello di lettura intimo, a metà tra la forma e i contenuti.
L’arte di El Greco educa ad una ricerca della libertà che travalica categorie e appartenenze. Aggrega modi e mondi lontani, oscilla tra la dimensione sensoriale e quella intellettuale. Entra ed esce dallo spazio pittorico e dalla storia. Continua ad attraversare il tempo per essere interpellata ancora.
El Greco, Palazzo Reale, Milano, fino all’11 febbraio 2024
In copertina: El Greco, San Martino e il mendicante, dettaglio. lio su tela, 194 x 103 cm, National Gallery of Art Washington ©Courtesy National Gallery of Art, Washington