Le necessità del distanziamento sociale per combattere il Covid 19 ci costringono in casa, in giornate che sembrano tutte uguali. Come quelle di Bill Murray, giornalista in Pennsylvania nel famoso film “Ricomincio da capo”. O quelle di un personaggio analogo, ma al femminile, la scatenata Nadia della serie tv “Russian Doll”. Il confronto suggerisce riflessioni non solo sulla narrazione per immagini, ma anche su di noi e il nostro rapporto con il presente, gli errori del passato, le prospettive per il futuro
Il 2 febbraio è il “giorno della marmotta”, e negli Stati Uniti è una vera e propria istituzione. Ogni anno a Punxsutawney, graziosa cittadina a nord di Pittsburgh, in Pennsylvania, una marmotta esce dalla tana e annuncia al mondo l’arrivo imminente della primavera. Oppure altre sei settimane di inverno. In che modo? A seconda che abbia visto oppure no la propria ombra. Una simpatica cerimonia, per chi ci crede. Lì sembrano crederci proprio tutti. E con entusiasmo. Sì, perché Punxsutawney è una di quelle cittadine americane che aspirano alla perfezione. Uno di quei posti dove tutti ti salutano e ti sorridono, ogni cosa ha il suo posto, ogni persona il suo ruolo. E la vita scorre serena, come un lungo fiume tranquillo.
L’unico che si muove come un pesce fuor d’acqua, e si agita rabbioso e infelice, è il giornalista Phil Connors (Bill Murray), protagonista di Ricomincio da capo, un film del 1993 diretto da Harold Ramis che in originale si intitolava appunto “il giorno della marmotta” (Groundhog Day). Cinico e scostante, un grande avvenire dietro le spalle, Phil lavora per una rete tv di Pittsburgh. Legge le previsioni del tempo e da ben quattro anni è incaricato di realizzare il reportage sul giorno della marmotta. Naturalmente Phil è furibondo per il solo fatto di essere costretto a passare una manciata di ore a Punxsutawney, e figuratevi un po’ come reagisce quando scopre che quelle ore sono destinate a ripetersi all’infinito. Sempre uguali, un giorno dopo l’altro.
Intrappolato in una sorta di loop temporale, costretto a rivivere sempre la stessa giornata, prigioniero di un autentico incubo dalle pareti color rosa pastello, ma non per questo meno terrificante, il protagonista tenterà in vari modi di reagire, e anche di trarre vantaggio dalle informazioni che lui possiede e gli altri sembrano invece ignorare. Così seduce l’avvenente Nancy, svaligia un furgone porta valori e si dà alla bella vita, inizialmente contando sul fatto che nessuno dei suoi gesti da cattivo ragazzo avrà la minima conseguenza. Ma tutto si azzera, come per miracolo, alle sei del mattino del 2 febbraio, quando alla radio risuona immancabile il ritornello (già melenso di suo, ma ben presto destinato a diventare insopportabile) di I Got You Babe di Sonny e Cher, e il giorno della marmotta ricomincia, sempre uguale a sé stesso.
Preso dalla disperazione, Connors farà di tutto: rapirà l’incolpevole marmotta e la butterà in un burrone e tenterà ripetutamente il suicidio, risvegliandosi ogni volta al punto di partenza. Ma se è vero che nel giorno della marmotta tutto si ripete identico, non è identico l’atteggiamento del protagonista, sempre più esasperato nella fase iniziale, ma da un certo punto in poi anche un po’ più saggio, più consapevole e generoso. Fino al finale trionfo dell’amore (con l’incantevole volto di Andie MacDowell) che porta con sé la possibilità di un nuovo inizio. Un 3 febbraio finalmente nuovo e diverso dal giorno precedente.
Un meccanismo molto simile lo si trova in una recente serie tv in onda su Netflix: Russian Doll. Simile, ma non identico. Tra il film di Ramis e la serie firmata da Natasha Lyonne e Amy Poehler è passata molta acqua sotto i ponti. E anche parecchie cause nelle aule dei tribunali di mezzo mondo. In epoca di #MeToo, il protagonista cinico e maschio (che da principio vorrebbe soltanto portarsi a letto la bella collega ma finisce col cedere al sentimento) non può che lasciare il posto a una lei, altrettanto cinica e ben più sboccata, con un debole per l’alcol e il sesso facile e scacciapensieri. Nel film del 1993 si rimaneva comunque sul terreno della commedia romantica: il protagonista veniva salvato dall’amore, reso un uomo migliore dal sorriso luminoso e paziente di Andie. Nell’attuale versione la protagonista Nadia (Natasha Lyonne) forse trova l’amore, alla fine, ma non è certo l’amore a salvarla. Lei cambia dopo aver faticosamente ripercorso i suoi errori e forse proprio perché è diventata una donna migliore è pronta a trovare l’amore.
Se Ricomincio da capo è in fondo solo una (deliziosa) commedia romantica, Russian Doll è soprattutto un apologo esistenzial-psicoanalitico, fondato sull’idea che si può andare avanti, ripartire, cambiare il proprio destino solo facendo i conti con il passato. Un passato che spesso si gioca tra le mura domestiche, tra il fantasma di mamma e quello di papà. In Ricomincio da capo si comincia sganasciandosi dalle risate e poco a poco si scivola tra le braccia di un’impalpabile e tenace malinconia. Anche in Russian Doll si inizia ridendo a crepapelle, grazie anche ai tempi comici strepitosi di Natasha Lyonne (commediante di razza, ve la consiglio anche in un’altra imperdibile serie tv, Orange is the New Black), ma man mano che procedono le puntate le risate si affievoliscono.
Non c’è niente da ridere a morire ogni giorno per rinascere ogni volta davanti allo specchio del bagno, a casa della tua migliore amica, e scoprire ogni volta che non puoi fare a meno di rifare sempre gli stessi errori, per quanto ti sforzi, arrivando sempre allo stesso catastrofico risultato. Però, attenzione: cinismo non vuol dire nichilismo. Anche se l’uscita dal loop temporale sembra impossibile, in realtà non bisogna mai perdere la speranza. È un labirinto, non una sfera chiusa. Le porte per entrare e uscire non sono immediatamente visibili, però ci sono. Basta cercarle. Basta praticare la pazienza, e magari un po’ l’umiltà. Di ripetizione in ripetizione, tornando ossessivamente sui propri passi, da errori, cadute e disastri assortiti qualcosa si finisce con l’imparare. Alla fine, la possibilità di un cambiamento, di un nuovo inizio, è a disposizione di tutti.
Gli americani lo chiamano fresh start ed è una di quelle espressioni perfette, concise e precise: un inizio fresco, pieno di speranza. Quanti romanzi, quanti film (e quante serie tv, da quando la serialità del piccolo schermo ha rivoluzionato il nostro modo di narrare per immagini) hanno come fulcro centrale proprio l’idea del diritto/dovere di ricominciare, di regalarsi una “seconda possibilità”, arrivati a un certo punto (non proprio confortevole) della propria vita. Ricomincio da capo, riparo gli errori, riparto verso il futuro. Ma per farlo devo mettere a posto il mio passato. Non posso lasciarlo lì e basta, dimenticarmelo. Come diceva Nietzsche, il macigno del “così fu” va trasformato in un “così volli che fosse”, con un’assunzione di responsabilità nei confronti di ciò che non può più essere cambiato, ma chiamando a raccolta tutta l’energia ancora a disposizione per tentare di modificare ciò che ancora è suscettibile di cambiamento.
A proposito di cambiamento, torniamo però un attimo al finale di Ricomincio da capo, a una domanda rimasta aperta e che riguarda il dopo: Phil e Rita si dichiarano il loro amore e sullo schermo compare la parola “fine”. Ma, dopo, che succede? E vissero felici e contenti. Prendiamola per buona, okay. Però ci resta un dubbio: dove accadrà questa vita felice e contenta? Nell’incantevole e fintissima (anche se esiste per davvero, se non ci credete controllate su Google Maps) Punxsutawney? Sembra in effetti il posto adatto. Proprio come Bedford Falls (ve la ricordate?), la cittadina protagonista di La vita è meravigliosa di Frank Capra, o Seahaven, l’isola perfetta in cui abita Truman Burbank, l’indimenticabile protagonista di Truman Show di Peter Weir). Luoghi d’incanto dove la felicità sembra proprio a portata di mano. Tutto a posto, dunque? Sì, certo, basta accettare il fatto di non essere liberi di uscire. Vi ricorda qualcosa? Magari la situazione di queste ultime settimane? Si? E allora, buon Giorno della Marmotta a tutti!