Perché se ne vanno? Tra le storie di Londra Italia, ultimo libro di Enrico Franceschini e i numeri di Alessandro Rosina qualche risposta non scontata sui nostri ragazzi con la valigia
Uno dei motivi (ma non il solo) per cui l’ho letto, è che Enrico Franceschini ha dedicato il suo ultimo libro… a mia figlia. In pratica a lei e a tutti quelli – tanti, qualcuno dice troppi e che è un vero e misconosciuto disastro – che se ne sono andati. Speranzosi e/o disperati, oppure come dice lei «prima di esserlo, perché alla fine noi che siamo partiti per continuare a studiare all’estero il peggio non l’avevamo ancora provato. Anzi quando torniamo ci sembra che i nostri amici stiamo meglio e si sbattano pure di meno».
Eccoli qui, quelli che se sono andati, nel caso del libro di Franceschini (e di mia figlia) nel cuore di Albione: Londra Italia ha per titolo, è appena uscito per Laterza, il corrispondente di Repubblica, lo ha dedicato agli italiani, non solo giovani e anche di lunga emigrazione, che ci vivono e subito mette lì un dato per capire di cosa stiamo parlando. Secondo il nostro consolato, gli italiani a Londra nel 2015 erano 250 mila (avete capito bene) e nel 2016 arriverà il simbolico sorpasso su Buenos Aires, città ‘italiana’ per eccellenza. Verso Londra scorre un fiume in piena di cui non abbiamo l’esatta portata (ma sappiamo l’intensità di flusso, + 77% nel 2014) perché il numero di cui sopra è quello degli iscritti all’Aire che, sostiene Franceschini e mi ha confermato Alessandro Rosina demografo attento dei cui numeri sui millenials poi dirò, certo non hanno come primo pensiero l’andarsi a iscrivere ad un registro, anche perché “spesso il progetto si costruisce strada facendo”.
Ciò detto, gli italiani a Londra sarebbero circa il doppio di quelli censiti e stiamo fra i cinquecentomila e le settecentomila persone, tutti insieme fanno per dimensione la quinta città italiana da cui titolo del libro. E Franceschini, attraverso la sua galleria di storie, fotografa esclusivamente Londra, che pure è un pezzo grande, forse la destinazione più comune di questa Italia giovane con la valigia che è un tema di grande interesse, oltre che esperienza quotidiana (e nuova) di tante famiglie che accendono ceri agli inventori di Skype e whatsapp, amano e odiano a egual tasso di intensità Easy jet e Ryan air e, (i peggiori tra di loro tra i quali mi iscrivo), spediscono pacchi di pasta, salsa di pomodoro, pesto, parmigiano e altre declinazioni regionali della nostalgia (pecorini sottovuoto, pomodori secchi e salame di culatello).
Nella stessa settimana in cui ho letto il libro di Franceschini, durante un incontro dedicato all’human cooperation in azienda tra generi e generazioni organizzato da ValoreD e Aggiornamenti sociali, ho ascoltato Alessandro Rosina, demografo dell’Università cattolica di Milano e presidente di I Talents, spiegare i suoi numeri, tratti dal Rapporto giovani della Fondazione Toniolo e da altre ricerche, sui millenials. Che, primo punto dolente, in Italia sono pochi, tra i quali i neet, cioè coloro che non studiano nè lavorano sono ben il 25% (per capirci in Germania sono meno del 10), e che appunto in robusta quantità se ne vanno. Tutto ciò fa dire a Rosina di uno svuotamento di questo segmento cruciale per il futuro.
Nei numeri di Rosina ho trovato una importante coincidenza con il libro di Franceschini. Se ai giovani di diverse nazioni europee si chiede – ha raccontato Rosina – se ritengono che il proprio paese possa dare loro opportunità, la peggiore risposta, quella più sfiduciata, viene appunto dagli italiani: il 75,9 pensa di no. E, attenzione, non possiamo cavarcela con la facile risposta che tutto questo è frutto della crisi, se è vero che in un paese altrettanto duramente colpito come la Spagna il tasso scende a poco più del 60% mentre in Inghilterra è addirittura al 17 e in Germania all’8,6.
Se poi si focalizza lo sguardo sui ragazzi con la valigia (ne avevamo parlato anche qui intervistando la regista Iciar Bollain che ha documentato i giovani emigranti spagnoli a Edimburgo), ecco balzare agli occhi il vero perché del loro andare. Non (solo) un lavoro migliore, non (solo) una remunerazione più adeguata, ma e al primo posto l’assenza di meritocrazia nel nostro paese (si potrebbe discutere cosa ciò significhi, ma in altra sede!) e, appunto, la possibilità di fare meglio che ciò che si sa fare, essere valorizzati per le proprie competenze, avere lo spazio per dimostrare, imparare, crescere. Insomma quello che si potrebbe chiamare il sentimento del possibile che mi è sembrato essere anche il filo rosso del libro di Franceschini, che, in certa misura, lega anche le biografie più robuste per risultati e di più antica emigrazione alle storie dei giovani che partono adesso.
Poi, nel libro, ci sono le molte ragioni per amare (e anche un po’ odiare) Londra, la relazione che si costruisce con un altrove che diventa casa, ma non è mai del tutto casa e quella che si mantiene con l’Italia, con chi si lascia, con il sentimento dei luoghi e la qualità (quasi insuperabile) della vita quotidiana nel Bel paese, ma questo è da far scoprire a chi leggerà Londra Italia. Ciò che invece non è misurabile con la categoria troppo semplice successo/ insuccesso che non è, per fortuna, la chiave di questo libro che racconta pure traiettorie di vita non tutte ‘luccicanti’ (naturalmente ci sono anche quelle, molte sono di donne e vanno da Barbara Serra a Lucrezia Reichlin a Simonetta Agnello Hornby) è invece il punto decisivo anche dei numeri di Rosina: la domanda di possibilità, la richiesta di essere messi alla prova. A Milano, a Palermo, a Londra o a Giacarta, come mia figlia, come tanti figli di amici che spediscono pacchi e si abituano a case vuote e distanze inedite. Dovrebbero essere voci e storie da ascoltare, numeri da guardare, politiche da pensare, molto più di quanto si faccia e non per retoriche da spendere in pubblico. Loro, i millenials, non se lo aspettano neanche, però se lo meriterebbero: intanto 2 su 3 dicono che lamentarsi non serve niente. Che serve, qui o altrove, fare, camminare, lavorare. E poter scegliere.
Immagine di copertina di Chris Jones