Fondazione ICA Milano presenta la bipersonale Lonely Are All Bridges, la mostra che inaugura le attività della Fondazione per il 2025 con l’eccezionale curatela di Maurizio Cattelan e Marta Papini, che celebrano il lavoro di due artiste iconiche, Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri, ormai scomparse e mai incontratesi di persona, ma poste idealmente in dialogo attraverso le loro opere, visioni e riflessioni.
Chi ha detto che la scarpa sinistra e quella destra devono combaciare? Perché non indossare due scarpe diverse? Nella conversazione idealmente pensata e scritta tra Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri in occasione della mostra presso Fondazione ICA Milano, la designer italiana idealmente si pone questa questione. “Non posso concedere piccole variazioni. Preferisco interventi radicali”, asserisce Cinzia nel pensiero immaginato oggi. E radicale certamente si è dimostrata: nel modo di pensare all’essere donna, al mostrarsi, al dichiararsi indipendente nella solitudine di un mondo femminile che ha provato a ribaltare. Queste sono alcune delle linee guida che conducono lo spettatore a intraprendere il percorso in Lonely Are All Bridges, curato da Maurizio Cattelan e Marta Papini, il raffinato dialogo che pone a confronto due pensatrici, designer, artiste che non hanno mai collaborato, ma che oggi vengono mostrate insieme. Il confronto estetico e concettuale tra le due evidenzia i diversi aspetti in comune, spesso fortemente tangibili.
Dalla passione ossessiva per le scarpe, che nella sala principale di ICA vengono installate in fila ai bordi di una lunga parete, come in una sfilata senza presenza umana; come in un infinito armadio di casa; all’ibridazione donna e oggetto, donna e feticcio o, ancora, donna animale. E, importante per entrambe, donna e il suo doppio. Proprio all’entrata della mostra, salendo le ormai iconiche scale di ICA, il disegno di Birgit Jürgenssen Untitled (1977/78) a parete rappresenta un volto di donna, un autoritratto – molto contemporaneo nella resa a matita -, con una grande testa di topo dalla bocca spalancata sul capo. Un’immagine fortissima, ma delicata e ironica. Fondamentale per entrambe le artiste è anche la rielaborazione di elementi quotidiani (la scala, il bicchiere) in accessori e dettagli estetici e, viceversa, la riproposizione di oggetti e ornamenti femminili in elementi di utilizzo comune, spesso anche con scopi poeticamente pratici (basti pensare all’uso delle spalline della veste da notte di Ruggeri fatte di liquirizia, in caso di notte le fosse venuta fame, o il mitico stivale a forma di Italia, che è in realtà una grande pochette). Importante è la resa, attraverso la fotografia o il disegno per Jürgenssen e la rielaborazione oggettuale per Ruggeri, di immaginari poetici, a volte di stampo surrealista, che diventano reali: la mano in velluto realizzata su larga scala di Ruggeri, che accompagna idealmente la lunga figura di un’ombra, sempre installata in un angolo di una stanza, con le braccia alzate, e le “body projection” di Jürgenssen, dove un cielo notturno stellato, con la sua luna, vengono riflesse sulla mano femminile.
Il ribaltamento degli stereotipi. Entrambe, con intelligente ironia e sofisticato atteggiamento, giocano su alcuni stereotipi femminili, per mutarli in punti di forza. Il tacco, l’unghia smaltata, la spallina nuda, la crisalide. Sia Brigitte che Cinzia erano in grado di declinare una nota stonata in una restituzione aggraziata, sofisticata, colta, geniale, riuscendo anche a forzare alcuni lemmi propri delle arti visive – dall’arte visiva come la pittura, il disegno, la fotografia, alla moda e al design -. Un fare non da poco. Se Ruggeri crea un abito con una coda e un collo fatto a scala, che ricorda anche un po’ una cresta di un dinosauro (da qui l’iconico abito in seta verde, di cui un modello, più chiaro, in mostra anche da ICA), allora di Jürgenssen si riguarda la scala ideata da una scarpa con il tacco con un altro occhio, o si comprende meglio il disegno dell’ampia scala che funge come coda di coccodrillo (da ICA dipinta come un wallpaper sulla parete centrale); se Jürgenssen ritrae la sua mano con il mezzo fotografico, o proiettando stelle e lune oppure creando la forma di un tacco, Ruggeri ne realizza una di grandissime dimensioni, in velluto nero.
Dunque si, probabilmente le due signore si guardavano, senza saperlo.
E il sottile filo umano, legato al doppio, al femminile, alla ricerca, alla raffinatezza che unisce Cinzia e Birgit, proprio come il ponte citato nel titolo, tratto da una poesia di Ingeborg Bachman, viene qui sviscerato in un percorso elaborato da tracce e visioni.
Tutte le immagini: Lonely Are All Bridges. Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri, Installation view, a cura di Maurizio Cattelan e Marta Papini, Fondazione ICA Milano, Milano. Ph. Andrea Rossetti
In copertina: Birgit Jürgenssen, Untitled (Body Projection), 1988. Color photograph, Vintage Print © Estate Birgit Jürgenssen / Bildrecht Vienna, 2025; Courtesy Galerie Hubert Winter