Louise Lawler, ironica e coraggiosa, ripensa il proprio lavoro trasformando le sue fotografie in pellicole di vinile da applicare alle pareti e, magari, colorare
La prima impressione che si riceve entrando a No Drones allo Studio Guenzani è spiazzante: Louise Lawler (Bronxville, New York, 1947), in collaborazione con l’illustratore per bambini Jon Buller, ha selezionato e rielaborato alcuni dei suoi scatti più celebri per ottenere un outline che, stampato su pellicola di vinile, è stato applicato direttamente alla parete della galleria.
Questo lavoro, già presentato l’anno scorso al Ludwig Museum di Colonia, rientra a pieno titolo nel filone d’indagine privilegiato della Lawler: quello attorno ai meccanismi e agli attori che recitano sul palcoscenico del sistema dell’arte, entro cui le opere d’arte sono allestite, collezionate, conservate, vendute e comprate. Memorabile rimane la riflessione sul rapporto puramente decorativo tra un Pollock e una zuppiera francese sul comò di qualche salotto bene, magari a New York (Pollock and tureen, 1984).
Il piano, tuttavia, è inedito: qui l’artista si interroga sulla consistenza e sulla funzione delle immagini prodotte non da altri, ma da lei stessa. I traced works negano gli elementi più superficiali dell’immagine fotografica per farne emergere direttrici prospettiche e contorni, ovvero gli aspetti più strettamente compositivi. Un’operazione intrigante sotto molteplici aspetti, che suona come un “vediamo cosa succede se…”, come un momento gestatorio nello strutturarsi di una nuova riflessione sull’immagine, sulle regole del gioco cui l’artista si è sempre attenuta.
Una seria riflessione attraversata, però, anche da una vena ludica. Per rendersene conto, basta sfogliare il catalogo di Colonia, pensato, nel formato e nella qualità della carta, per somigliare a un album da colorare per bambini, o considerare i due outline stampati su carta e parzialmente colorati a mano dall’artista esposti in mostra: esemplari unici, o piuttosto esempi per un possibile utilizzo di queste opere?
I Drones evocano un mondo di scenari bellici, meccanismi di registrazione asettica, fantascientifiche moltiplicazioni seriali. Ma qui, nonostante le apparenze, non c’è niente di tutto ciò: ecco il senso di questo No Drones. Troviamo invece un’operazione fresca, ironica e coraggiosa, di un’artista che ha ancora la curiosità di ripensare il proprio lavoro, di rimettersi in discussione, di affrontare nuovamente la riflessione su che cosa sia immagine.
Louise Lawler, “No Drones”, Studio Guenzani, prorogata fino al 20 dicembre 2014.
Foto: Louise Lawler, “No Drones”, Installation view. Courtesy of the Artist and the Gallery.